Un tempo era il regno del silenzio, del ghiaccio eterno, della distanza assoluta. Oggi l’Artico è diventato una scorciatoia. Il cambiamento climatico, accelerato dalla mano dell’uomo, ha trasformato la regione più inaccessibile del pianeta in un corridoio commerciale. Il ghiaccio si ritira, le rotte si aprono, le navi avanzano. E mentre il mondo si congratula con sé stesso per aver «conquistato» l’Artico, nessuno sembra chiedersi a quale prezzo.
L’incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin, tenutosi ad Anchorage il 15 agosto 2025, ha segnato un momento simbolico quanto strategico: due potenze globali che si ritrovano nel cuore dell’Artico, non per discutere di tutela ambientale, ma per negoziare interessi geopolitici e commerciali. Come ha dichiarato l’assistente presidenziale russo Yuri Ushakov, «in Alaska e nell’Artico si incrociano gli interessi economici della Russia e degli Stati Uniti». Il vertice, presentato come un tentativo di risolvere la crisi ucraina, ha avuto come sfondo una regione che si scioglie sotto il peso del cambiamento climatico e si riscalda sotto quello delle ambizioni industriali. Che l’Artico sia diventato teatro di diplomazia ad alta tensione è il segnale più chiaro che il ghiaccio non è più barriera, ma opportunità. E mentre i leader discutono di confini e risorse, il paesaggio artico continua a perdere la sua identità, trasformandosi da ecosistema fragile a tavolo negoziale per superpotenze.
Secondo il NSIDC, nel marzo 2025 la superficie del ghiaccio marino artico ha toccato il minimo storico. Il 70% del volume è già scomparso. Il meccanismo è noto: meno ghiaccio significa meno riflessione solare, più assorbimento di calore, più scioglimento. È il cosiddetto effetto albedo, una spirale che accelera la fine di ciò che chiamavamo «ghiaccio perenne». Ma oggi il perenne è diventato stagionale. E il stagionale, precario.
La nuova geografia del ghiaccio apre tre rotte: la Nord-Est lungo la Russia, la Nord-Ovest tra Canada e Alaska, e una futura Transpolare che potrebbe attraversare un Polo Nord completamente libero dai ghiacci. La Nord-Est è già percorribile in estate, ma resta pericolosa: nebbia, tempeste, iceberg vaganti. E poi c’è la geopolitica: la rotta passa sotto controllo russo, e le sanzioni internazionali ne limitano l’uso.
Nel frattempo, il traffico marittimo cresce. Secondo il Consiglio Artico, negli ultimi dieci anni è aumentato del 40%. Le navi sono più grandi, più frequenti, più invasive. Nel 2024, la Nord-Est ha registrato 93 transiti e tre milioni di tonnellate di carico, soprattutto petrolio e gas. Il commercio tra Russia e Cina prospera, mentre l’ecosistema artico vacilla.
Perché l’Artico non è solo ghiaccio. È casa per balene, pesci, uccelli, e per le comunità indigene che da secoli vivono in simbiosi con il paesaggio. Il rumore delle navi disturba la fauna marina, le perdite di carburante minacciano le acque più ricche di biodiversità, come il Nordwasser. E gli Inuit? Per loro il ghiaccio è ponte, cultura, sopravvivenza. Per noi, è ostacolo da rimuovere.
La corsa alle risorse è già iniziata. Petrolio, gas, terre rare, diamanti: l’Artico è un tesoro che si svela man mano che si scioglie. Russia, Canada, Cina, Stati Uniti: tutti vogliono la loro fetta. E mentre l’Antartide è protetto da trattati internazionali, l’Artico resta un far west regolato da interessi nazionali e silenzi diplomatici. Il Consiglio Artico, paralizzato dal conflitto russo-ucraino, non può affrontare questioni militari né climatiche. E così, il vuoto normativo diventa terreno fertile per lo sfruttamento.
Ma resta una domanda: cosa stiamo davvero conquistando? Un passaggio più veloce tra Europa e Asia? Un nuovo Eldorado di risorse? O stiamo solo perdendo l’ultimo luogo incontaminato del pianeta, trasformandolo in un’autostrada per container?

Cina e Russia sempre più vicini
Telegiornale 02.09.2025, 12:30