Politica ambientale

L’ecologia politica è eco-fascismo?

Tra critica al progresso e visione cooperativa, il pensiero ecologico è un pensiero che sfugge alle etichette. Ma una cosa è certa: non vuole tornare indietro, ma andare altrove

  • Oggi, 11:00
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Di: Mattia Cavadini (Mat) 

L’ecologia politica è spesso oggetto di fraintendimenti. C’è chi la associa a una forma di conservatorismo mascherato, per via della sua critica al progresso, della difesa della natura e dell’attenzione alle culture indigene. Alcuni arrivano persino a evocare il rischio di un “eco-fascismo”. Ma quanto sono fondate queste letture?

Nata negli anni ’60 e ’70 nei paesi industrializzati, l’ecologia politica si distingue dall’ambientalismo tradizionale per il suo carattere sistemico: non si limita a proteggere settori della natura, ma propone un ripensamento dell’intero modello sociale. In questo senso, si avvicina a visioni cooperative e solidali, spesso affini al socialismo, pur mantenendo una propria identità.

Uno dei nodi centrali del dibattito è il concetto di progresso. L’ecologia politica non lo respinge in blocco, ma lo sottopone a un esame critico e profondo. Non si tratta di negare il progresso, bensì di smascherarne le ambiguità: progresso per chi, e a quale prezzo? Quali interessi lo guidano, e quali voci vengono escluse nel suo nome?

Lo storico François Jarrige ha evidenziato come molte innovazioni tecnologiche, spesso celebrate come simboli di avanzamento, siano nate da visioni conservatrici e abbiano consolidato rapporti di potere esistenti. In questo senso, la critica ecologista non è una nostalgia del passato né una condanna della modernità, ma piuttosto un appello a ripensarla radicalmente. L’ecologia politica propone una ridefinizione del progresso che tenga conto della giustizia sociale, della sostenibilità ambientale e della pluralità dei saperi. Non è un rifiuto dell’innovazione, ma una sfida a immaginare un futuro che non sacrifichi il vivente sull’altare dell’efficienza.

Anche l’idea che la difesa della natura sia di per sé conservatrice merita attenzione. La natura, nell’ottica ecologista, non è un ordine immutabile da preservare, ma un sistema dinamico da comprendere e reinventare. Già nel 1962 Serge Moscovici sosteneva che l’ordine naturale è una costruzione culturale, non un dato assoluto. In questo senso, la natura diventa uno spazio di possibilità, non di nostalgia.

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Un altro punto critico riguarda il localismo. È vero che l’ecologia politica valorizza il territorio, ma lo fa in chiave inclusiva e planetaria: “pensare globale, agire locale”. Diverso è il localismo conservatore, che mira alla protezione di patrimoni etnici o gerarchie sociali. Le due visioni condividono l’attenzione al contesto, ma divergono nei presupposti e negli obiettivi.

Il termine “eco-fascismo” viene talvolta utilizzato per descrivere sintesi ideologiche estreme, ma risulta improprio. I fascismi storici sono centrati sull’unità politica e sull’uso della forza, con una visione antropocentrica che subordina la natura agli interessi umani. L’ecologia politica, al contrario, propone una visione cooperativa del vivente, dove l’umano è parte di un equilibrio più ampio.

Nel panorama politico contemporaneo, esistono sfumature. Una forma di ecologia conservatrice, come quella di Roger Scruton, cerca di conciliare spiritualità e tutela ambientale, ma finisce per subordinare la biosfera all’economia. L’ecologia social-liberale, incarnata da Pascal Canfin, punta su incentivi di mercato. L’ecosocialismo, più radicale, propone pianificazione e decentramento. E infine c’è l’artigianalismo anti-industriale, che rischia però derive esoteriche e idealizzazioni primitive.

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In definitiva, l’ecologia politica non si lascia incasellare facilmente. È un campo plurale, attraversato da tensioni e visioni diverse. Ma al centro resta una domanda cruciale: come costruire una società che tenga conto dei limiti ecologici, senza rinunciare all’equità e alla partecipazione? La risposta non è univoca, ma il dibattito è più che mai necessario. Nel cuore dell’ecologia politica restano valori progressisti: autonomia, gratuità, liberazione dal lavoro alienato, solidarietà internazionale. Non è conservatorismo. È una critica profonda alla modernità, che non vuole tornare indietro, ma andare altrove.

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