Società

La casa, il nostro intimo palcoscenico quotidiano

L’invenzione della casa: dalla grotta paleolitica a Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo

  • 21 aprile, 14:28
  • Ieri, 11:40
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Di: Romano Giuffrida  

«Casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badìa»: quasi impossibile non avere mai ascoltato questo proverbio toscano di origini remote che, soprattutto nei primi decenni del secolo scorso, diede origine a filastrocche per bambini tramandate di generazione in generazione. “Badìa” ossia, dopo un progressivo mutamento di significato dall’originario “abbazia” del tardo latino, «luogo accogliente, simbolo di abbondanza e di benessere». Con il tempo (dopo ricorrenti crisi economiche e due guerre mondiali), il concetto si è ulteriormente modificato e ha trascurato l’abbondanza e il benessere: il semplice fatto di avere una casa, ossia “quattro mura e un tetto sulla testa”, a livello popolare, è divenuto infatti sinonimo più realistico di “esistenza fortunata”. Se si considera che sono più di 900 mila i “senzatetto” nella sola Europa, si comprende meglio il concetto di “esistenza fortunata”…

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L’architetto Le Corbusier (1887–1965)

Ma cos’è “la casa”? L’architetto Charles-Edouard Jeanneret Gris, meglio conosciuto come Le Corbusier, nel suo Verso un’architettura, (saggio del 1923 che divenne un vero e proprio manifesto dei principi dell’architettura moderna), aveva scritto: «La casa dovrebbe essere lo scrigno del tesoro del vivere». Giusto, ma questa è un’idea che si è formata molto lentamente nel tempo, per affermarsi definitivamente solo tra XVIII e XX secolo.

In genere, gran parte della storiografia fa coincidere “l’invenzione” della casa con lo sviluppo dell’agricoltura e la conseguente “scoperta” di confini e proprietà che necessitavano di stanzialità per presidiare campi e raccolti. Ciò avveniva circa nel 6500 a.C.: fu allora, infatti, che l’uomo cominciò a dedicarsi alla costruzione di dimore, più o meno permanenti, che potessero garantire rifugio, riparo e, appunto, controllo sulle aree adiacenti. Analisi corretta quella degli storici, naturalmente: però rischia di essere imprecisa perché mancano i circa trecentomila anni precedenti, ossia quelli che corrispondono all’esistenza documentata dell’homo sapiens.

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Sulawesi (Indonesia) Pittura rupestre risalente a 44 mila anni fa

Ampliando lo sguardo, ci possiamo rendere conto del fatto che, in realtà, la grotta che offriva riparo al cacciatore del paleolitico, da improvvisato rifugio diventava “casa” nel momento in cui l’uomo stabiliva lì il luogo del focolare e soprattutto “personalizzava” lo spazio dipingendone le pareti con scene di caccia o con l’impronta delle proprie mani. Così facendo, infatti, l’uomo iniziava a modificare l’ambiente nel quale si trovava a esistere ossia, timidamente, introduceva nella sua mente l’identificazione fra abitare e vivere perché definiva uno spazio “protetto”, un “dentro” e un “fuori”, un “io” e un “resto del mondo”.

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Dubai (Emirati Arabi Uniti) – Il grattacielo Burj Kalifa

Le prime case erano capanne di paglia, legno, terra cruda e mattoni cotti al sole la cui resistenza, come si può immaginare, era estremamente precaria. Sarà però proprio la precarietà a determinare nei secoli quella progressiva evoluzione del concetto di edificio abitativo che, nel 2010, permetterà la costruzione a Dubai di Burj Khalifa, il grattacielo di 829,80 metri di altezza (il più alto del mondo).

In ogni caso, che si abiti al centosessantatreesimo piano della Torre sorta nell’Emirato arabo, nel monolocale periferico di una città o nella baita ai piedi di un monte, la casa resta comunque quello spazio privato simbolico, emotivo e affettivo, che da sempre l’essere umano proietta su di essa.

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Una proiezione di cui non potevano non accorgersene i padri della psicanalisi: Freud addirittura associò il simbolo della casa all’utero materno e Jung, allo “specchio” del nostro inconscio. Detto con altre parole, agli occhi degli psicanalisti, la casa tratteggerebbe l’estensione fisica ed architettonica del nostro essere più intimo. Secondo la psicologia dell’abitare (ambito di ricerca interdisciplinare tra architettura, design e neuroscienze che si ripropone di creare nella casa uno spazio il più possibile rispondente alle esigenze anche psichiche di chi lo abita), «la casa non è solamente un insieme di spazi, ma un insieme di sogni». La dichiarazione è indubbiamente romantica, però è vero che ognuno di noi “rende viva” la propria casa con il senso che abbiamo “di noi stessi” e con l’immagine di noi che vogliamo esibire.

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Alessandro Mendini - Divano “Kandissi”

Come affermava l’architetto e designer Alessandro Mendini: « L’arredamento della nostra casa diventa il teatro della vita privata (..): è la casa palcoscenico», il palcoscenico sul quale, inconsapevolmente, recitiamo la nostra vita più vera perché è proprio nella nostra casa che possiamo essere noi stessi, al di la di obblighi e convenzioni che “il mondo fuori” ci impone (a parte obblighi e convenzioni che abbiamo interiorizzato con educazione e bon ton). La casa, così intesa, si fa “luogo”, uno spazio circoscritto da una linea di demarcazione che definisce la dimensione privata di un’area “sacra”, inviolabile e separata da tutte le altre aree circostanti, quelle di chi, con altrettanta liceità, ha privatizzato per salvaguardare se stesso dal “mondo fuori”. 

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La casa, sin dalle origini più antiche, organizza così le relazioni umane: non per nulla, parallelamente alla sua “invenzione” si sviluppa lo “spazio della collettività”: i borghi, i villaggi, le città e infine le metropoli. Come aveva detto il filosofo Martin Heidegger: è l’abitare che dà il senso al costruire, e non il contrario. Per questo motivo, nel Novecento, soprattutto nelle aree più ricche del pianeta (ma non solo), e in conseguenza della grande crescita demografica con conseguente crescita di domanda abitativa, (in particolar modo nella seconda metà del secolo che ha contato un aumento della popolazione mondiale di circa un miliardo ogni 12-14 anni), l’impegno degli architetti si è rivolto al coniugare insieme “abitabilità a misura d’uomo” e crescita edilizia della città. Ci sono sempre riusciti? No, anzi; nella maggior parte dei casi però hanno realizzato progetti che non solo sono entrati nella storia dell’arte mondiale, ma sono diventati simboli iconici del XX secolo. 

Monique Bosco Von Allmen

In altre parole 21.08.2023, 08:18

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