Neocolonialismo energetico

La nuova corsa all’Africa

Tra gas, uranio e terre rare, l’Africa è diventata il nuovo campo di conquista delle potenze globali. Francia, Russia, Cina e USA si contendono il controllo di un territorio strategico

  • Oggi, 07:30
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  • Keystone
Di: Mat Cavadini 

Nel cuore dell’Africa si sta consumando una nuova corsa alle risorse. Petrolio, gas, uranio, terre rare e terre coltivabili sono diventati il bottino di una guerra silenziosa, combattuta non con eserciti ma con contratti, missioni diplomatiche e investimenti strategici. È il volto contemporaneo del neocolonialismo energetico, dove la sovranità dei paesi africani viene sistematicamente erosa in nome della “sicurezza energetica” globale.

La logica è semplice e brutale: più un paese è ricco di materie prime, più è esposto a interferenze esterne, corruzione interna e instabilità politica. È la «maledizione delle risorse», come l’ha definita Richard Auty, secondo cui l’abbondanza di beni naturali può paradossalmente frenare lo sviluppo e favorire il dominio straniero. Il colonialismo non è finito: si è trasformato. Non si impongono più governi fantoccio con la forza, ma si costruiscono dipendenze economiche e infrastrutturali che svuotano la sovranità.

Oltre 93 milioni di ettari di terra africana sono stati venduti o concessi in leasing a potenze straniere. Una superficie superiore alla somma di Germania e Francia. Governi e multinazionali occidentali, ma anche attori emergenti come Cina, Turchia e Paesi del Golfo, si contendono il controllo di territori strategici, spesso con il pretesto dello sviluppo sostenibile o della lotta al terrorismo.

La Cina guida la corsa all’Africa con una strategia di “baratto geopolitico”: in cambio di infrastrutture e prestiti, ottiene concessioni minerarie e petrolifere in paesi come Zambia, Angola e Congo, consolidando una rete di dipendenza economica che spesso sfocia in crisi del debito. Attraverso il Forum sulla Cooperazione Cina-Africa, Pechino ha formalizzato relazioni bilaterali con oltre 50 paesi, mentre le sue imprese estrattive operano in modo capillare, spesso senza trasparenza né rispetto ambientale. La Russia, dal canto suo, ha scelto una via più aggressiva: con il sostegno di milizie private come il gruppo Wagner, ha appoggiato colpi di Stato in Mali, Burkina Faso e Niger, ottenendo in cambio accesso privilegiato a giacimenti di uranio e oro. Mosca si propone come alternativa all’Occidente, offrendo protezione militare e retorica anti-imperialista, ma il suo obiettivo resta il consolidamento di una sfera d’influenza energetica. La Francia, storicamente legata all’Africa occidentale attraverso la rete della Françafrique, ha visto ridursi la sua presenza militare dopo il ritiro forzato da diversi paesi del Sahel, ma continua a difendere gli interessi delle sue multinazionali, come TotalEnergies, attive in settori petroliferi e minerari. Parigi mantiene accordi strategici con paesi come Senegal, Gabon e Costa d’Avorio, dove la sua influenza economica resta forte nonostante il declino politico. Gli Stati Uniti, infine, operano attraverso il comando AFRICOM, con basi militari e di intelligence distribuite in oltre venti paesi. La loro strategia combina assistenza militare, investimenti in energia rinnovabile e gas naturale liquefatto, e contenimento dell’espansione cinese e russa. Washington rafforza la cooperazione con stati chiave come Kenya, Ghana e Nigeria, promuovendo una retorica di “stabilità e sicurezza” che spesso maschera interessi economici e geopolitici. In questo scenario, l’Africa non è solo un continente da sviluppare, ma un campo di battaglia per l’egemonia globale, dove la sovranità nazionale viene sistematicamente subordinata alle logiche del capitale e della competizione tra potenze.

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Anche l’ambientalismo, in alcuni casi, diventa strumento di dominio. Come ha osservato Achille Mbembe, «la retorica della salvezza ecologica può facilmente trasformarsi in una nuova forma di razionalizzazione coloniale». Viene imposto ai paesi africani di rinunciare a modelli energetici “sporchi” senza alternative reali, rallentando lo sviluppo e rafforzando la subordinazione.

Il land grabbing e il water grabbing sono le nuove frontiere di questa conquista. Interi territori vengono sottratti alle comunità locali per coltivazioni intensive, estrazioni minerarie o mega-progetti idroelettrici. Il volto del capitalismo globale si mostra qui nella sua forma più aggressiva: appropriazione, espropriazione, cancellazione.

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In questo scenario, l’Africa non è solo un continente da sfruttare, ma un campo di battaglia tra potenze. La posta in gioco non è solo energetica, ma geopolitica. Chi controlla le risorse controlla il futuro. E chi impone il proprio modello di sviluppo impone anche la propria visione del mondo.

Come scrive Walter Rodney, «lo sviluppo dell’Europa è stato reso possibile dal sottosviluppo dell’Africa». Oggi, quella dinamica si ripropone sotto nuove forme: meno cannoni, più memorandum d’intesa; meno governatori, più consulenti. Ma la logica resta la stessa: estrarre valore, imporre modelli, negare l’autodeterminazione.

E come ricorda Kevin Ochieng Okoth, «la decolonizzazione non è un evento concluso, ma un processo interrotto: ciò che resta è una lotta per riappropriarsi del futuro». Una lotta che passa per la restituzione della sovranità, la riappropriazione delle risorse e la riscrittura delle narrazioni.

La sfida, allora, non è solo economica. È epistemica, politica, culturale. Riconoscere il neocolonialismo energetico significa smascherare le narrazioni che lo legittimano, e restituire centralità alle voci africane, alle loro lotte, alle loro visioni. Perché la sovranità non si misura in barili di petrolio, ma nella capacità di decidere il proprio destino.

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  • Alessandro Bertellotti

Bibliografia

Auty, R. M. (1993). Sustaining development in mineral economies: The resource curse thesis. London: Routledge.
Mbembe, A. (2013). Critica della ragione nera. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Rodney, W. (1972). How Europe underdeveloped Africa. London: Bogle-L’Ouverture Publications.
Okoth, K. O. (2025). Red Africa: Questione coloniale e politiche rivoluzionarie. Milano: Meltemi Editore.

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