Società

La rivolta verticale: salire in montagna per resistere

Dalle città soffocate al respiro delle Alpi: il ritorno alle terre alte come frontiera del futuro

  • Oggi, 11:00
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Di: Red./cava 

C’è chi, in questi giorni tropicali, scappa dal caldo. Chi, invece, sale in montagna per fuggire dal traffico, chi dalla noia o dallo stress. Fatto sta che sempre più persone stanno salendo. Non metaforicamente, ma fisicamente. Verso le terre alte. Verso la montagna. Non è turismo, non è villeggiatura. È una migrazione verticale. E non è solo una moda: è una dichiarazione politica, ecologica, esistenziale.

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Canicola: montagna presa d'assalto

Telegiornale 11.08.2025, 12:30

Il climatologo Luca Mercalli lo ha fatto davvero. Ha lasciato la Pianura Padana — «una delle zone con la qualità peggiore di tutta l’Europa» — per rifugiarsi nelle Alpi Cozie. Non per romanticismo, ma per sopravvivenza. Perché, come scrive nel suo libro Salire in montagna, «il caldo opprimente unito all’inquinamento» non è più compatibile con una vita dignitosa. E allora si sale. Per respirare. Per pensare. Per resistere.

Ma attenzione: la montagna non è un rifugio facile. «Nulla è tagliato sulla misura della montagna», avverte Mercalli. I nuovi montanari si scontrano con burocrazie ottuse, servizi carenti, infrastrutture pensate per chi resta in basso. È una sfida, non una fuga. E come ogni sfida, richiede visione politica. Non bastano incentivi generici: servono politiche intelligenti, cucite sulla pelle ruvida dei territori alti.

Eppure, qualcosa si muove. La pandemia ha svelato che il lavoro non ha bisogno di grattacieli. Il telelavoro ha rotto il mito della centralità urbana. E così, tra boschi e sentieri, nascono nuove economie ibride: agricoltura, artigianato, digitale. I nuovi abitanti portano competenze, idee, connessioni. E le comunità montane, spesso resilienti e creative, rispondono con tradizioni, saperi, adattabilità. È un incontro. È un laboratorio.

Ma non basta trasferirsi. Bisogna appartenere. Mercalli parla di Heimat, «uno spazio omogeneo che non ha frontiere». Vivere in montagna non significa solo abitarla, ma capirla, rispettarla, integrarsi. Non è una colonizzazione romantica, ma una coesistenza consapevole. E questo vale anche per l’ambiente: la montagna non è una risorsa da sfruttare, ma un capitale da custodire. Come scrive Mario Rigoni Stern, bisogna «cogliere l’interesse senza intaccare il capitale».

La montagna, allora, diventa il nuovo fronte. Mercalli la definisce «la trincea dei partigiani del XXI secolo». Un luogo da cui osservare il disastro climatico, ma anche da cui immaginare alternative. Un punto di vista privilegiato, sì, ma anche scomodo, esigente, ruvido. Perché salire non è solo cambiare altitudine: è cambiare prospettiva.

E no, non è per tutti. Diventare montanari è un processo. Richiede tempo, adattamento, umiltà. Non si tratta di idealizzare la vita in quota, ma di riconoscerne la complessità. È una scelta che implica responsabilità, fatica, ma anche bellezza. E soprattutto, possibilità.

In un mondo che si appiattisce, salire è un atto di ribellione. È un modo per dire che un altro modello di vita è possibile. Che la montagna non è il margine, ma il centro di una nuova visione. Se sapremo ascoltarla, potremo costruire comunità più sostenibili, più resilienti, più umane.

La montagna non è solo un luogo. È un orizzonte. E oggi, più che mai, è l’orizzonte più urgente e visionario.

24:51

Luca Mercalli a Lugano

RSI Info 15.06.2024, 18:00

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  • Nicola Colotti

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