Società

Le sfide della NATO nel XXI secolo

A 80 anni dalla nascita, la NATO affronta il paradosso di una spesa militare enorme ma capacità limitate. Tra divisioni europee e nuove minacce ibride, l’Alleanza deve reinventarsi per restare rilevante

  • 55 minuti fa
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  • Keystone
Di: Alphaville/Mat 

La NATO si avvicina agli ottant’anni di vita e si trova di fronte a un bivio che ne mette in discussione ruolo e identità. Nata nel 1949 come alleanza difensiva contro l’Unione Sovietica, ha dovuto reinventarsi più volte, soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda. Come ricorda lo storico Stefano Marcuzzi (professore presso il Centro Alti Studi Difesa di Roma), intervistato da Mattia Pelli in Alphaville: «la fine del mondo bipolare ha rappresentato uno spartiacque fondamentale: venuto meno il principale avversario, l’Alleanza sembrava aver perso la sua ragion d’essere originaria». Eppure i Paesi membri decisero di mantenerla, trasformandola in uno strumento di stabilizzazione e gestione delle crisi, con interventi nei Balcani e poi in teatri “fuori area” come Afghanistan, Iraq e Libia.

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Alphaville 27.11.2025, 12:05

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Questa nuova funzione si è accompagnata a una progressiva smilitarizzazione dell’Europa. «In Italia abbiamo modificato il modello di forza armata di riferimento proprio a partire dall’inizio degli anni ’90», osserva Marcuzzi, abolendo la leva e puntando su eserciti professionali più piccoli e mobili, adatti al peacekeeping ma non a conflitti convenzionali. Le spese militari sono scese dal 4-5% del PIL della Guerra Fredda all’1,4%, con conseguente erosione delle capacità operative. La crisi ucraina ha riportato in primo piano i limiti di questo modello.

Maurizio Simoncelli (storico, vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo) sottolinea il paradosso: «di fronte comunque a una cifra notevole di spesa militare, noi ci troviamo ad avere una capacità operativa molto limitata». La NATO spende circa 1.500 miliardi di dollari l’anno, tre quinti del totale mondiale, eppure l’Europa resta frammentata, con «27 politiche estere diverse» e nessuna vera difesa comune. Stoltenberg ha chiesto agli alleati di «passare a una mentalità di guerra», indicando il 2% del PIL come minimo necessario. Ma Simoncelli avverte: «siamo già armati fino ai denti». Il problema non è quanto si spende, ma come.

Intanto le nuove minacce ibride e tecnologiche, come gli sciami di droni a basso costo, rischiano di rendere obsoleti sistemi d’arma tradizionali e costosissimi. «Dobbiamo inventarci tecnologie a più basso costo e a maggiore integrazione multilaterale», insiste Marcuzzi. La guerra in Ucraina ha dato nuova missione alla NATO, ma ha anche messo in luce divergenze tra gli alleati. Nei piani di pace discussi da attori internazionali, l’Alleanza è stata spesso marginalizzata. «Viene dato per scontato che l’Ucraina non potrà far parte di questa alleanza», nota Simoncelli, evocando l’idea di uno “stato cuscinetto” tra Russia e Occidente.

Il futuro della NATO dipenderà dalla sua capacità di rinnovarsi, superando divisioni interne e ripensando il concetto stesso di sicurezza collettiva. Non basterà una corsa al riarmo: servirà una vera integrazione europea e un adattamento alle nuove minacce. Solo così l’Alleanza potrà evitare di diventare un’organizzazione anacronistica e continuare a essere un attore rilevante nello scacchiere globale.

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