Società

Lucio Caracciolo

La storia ha più fantasia di noi

  • 20.03.2024, 11:45
Caracciolo
Di: Marco Alloni 

In un passaggio emblematico di Terra incognita, il saggio pubblicato nel 2001 per Laterza, Lucio Caracciolo rimarcava a proposito del cosiddetto passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica italiana: “La storia è aperta è ha molta più fantasia di noi. La ‘transizione’ potrebbe essere infinita o finire con la scomparsa dello Stato Italia, frantumato in più staterelli o sussunto in uno Stato europeo. Potrebbe concludersi in un regime non più democratico o al contrario in una democrazia più efficiente”.

Questo approccio all’esistente, che in termini di analisi geostrategica è infine un approccio alle viscere della storia contemporanea, potrebbe essere chiamato “caraccioliano” almeno nella misura in cui – senza in nessun modo voler dare una connotazione morale all’espressione – Lucio Caracciolo, fondatore e guida della rivista “Limes”, resta tra le pochissime espressioni di giornalismo analitico e interpretativo che da sempre rifiuta il comodo rifugio nell’ideologismo, nella partigianeria e nel profetismo.

Al contrario, essendo “la storia aperta e avendo molta più fantasia di noi”, la sua attitudine filosofica fondamentale, che su un piano scientifico richiama da vicino il cosiddetto “principio di falsificabilità” di Karl Popper, a tutto mira tranne che a esporre, pur nel quadro dell’opione analitica, cioè dell’analisi come soggetta ai limiti e alle restrizioni dell’opinione, alcuna verità di sorta.

Ed è un approccio che ebbi già modo di riscontrare in un nostro lontano dialogo, la cui principale risultante fu ai miei occhi – correva l’anno 2009 – quella di porlo in un certo modo mille leghe al di là del tuttologismo egolatrico imperante da decenni in Italia e altrove. Si può infatti decidere, in ambito geo-politico, dove allignino ragioni e torti e a chi conferire questa o quella palma di legittimità o di abusività, ma nel farsi concreto delle vicende storiche (tanto più se contemporanee) molto più significativo ed euristicamente determinante è riconoscere due elementi altrettanto cogenti: le cause che sottendono un determinato evento e di conseguenza le determinazioni che l’hanno prodotto.

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Le cause attengono al passato, di volta in volta recente o remoto: presuppongono quindi una puntuale ricognizione storica e, perché no, uno spirito storicistico. E chi segue le cronache degli ultimi decenni sa bene quanto uno dei limiti sovrani del giornalismo italico risieda proprio nella deficienza di contestualizzazione degli eventi narrati, quindi in un dispregio di quella “storia” eluse le cui determinazioni si finisce sistematicamente per leggere il presente in termini di tifoseria.

Quanto a tali determinazioni, Caracciolo non nasconde il proprio realismo, che se a tratti potrebbe apparire disinvoltamente fatalistico, in sostanza richiama tuttavia una verità che difficilmente può essere smentita: dietro a ogni determinazione politica covano sempre interessi specifici. E ogni esegesi del nostro tempo – come di qualsiasi tempo storico – che si pretenda esegesi romantica o da “anime belle” dimentica l’essenziale: fuori dal greve e aspro quadro degli interessi particolari, cioè di parte, ogni analisi del contingente perde ogni sua ragion d’essere.

Rassegnarsi allora alla fatalità di un Homo homini lupus di hobbesiana memoria? Stando alla filosofia di Caracciolo si direbbe proprio di sì: una diversa attitudine antropologica non essendosi mai presentata, a conti fatti, in nessuno dei contesti politico-statuali della storia umana, nemmeno nella Grecia di Pericle.

“Diffido molto di tutte le categorie politologiche” mi ricordava in quel nostro dialogo, facendomi sobbalzare come quando uno scrittore afferma Diffido di chiunque faccia della parola il suo mestiere. E aggiungeva: “Le categorie politologiche sono infatti generalmente un tentativo (più o meno commendevole) di razionalizzare dei conflitti; e per di più hanno una pretesa scientifica che io personalmente non approvo. Partono cioè da un tentativo di costruire dei modelli interpretativi validi indifferentemente rispetto al contesto storico, temporale, geografico, climatico, culturale e via dicendo; per cui finiscono per valere allo stesso modo per l’Antica Grecia come per Berlusconi. E già questo, dal punto di vista analitico, mi pare un approccio estremamente vacuo. L’eccessiva razionalizzazione presuppone inoltre la pretesa di capire tutto e, di conseguenza, l’impossibilità di capire veramente qualcosa”.

È un monito da non sottovalutare. Poiché ci pone di fronte a un’evidenza quasi incontrovertibile: che la storia e i suoi protagonisti hanno sempre, invariabilmente più fantasia di noi. E pertanto che obbligarla alle strettoie di quell’ iperrazionalismo chiamato onniscienza rischia soltanto di presentarceli, storia e suoi protagonisti, come macchiette dei nostri personali desiderata.

E questa, se vogliamo tracciare una rapida conclusione al nostro ragionamento sul termine “caraccioliano”, è probabilmente la ragione per cui tanto consenso, a livello degli specialisti come dei non addetti ai lavori, la rivista “Limes” ha raccolto in questi anni intorno a sé: perché Caracciolo ha saputo attraversare il nostro tempo in pari misura in punta di piedi e con un affilato fioretto in mano. In punta di piedi per non pretendersi idolo di alcuna “superiore comprensione”, ma con un affilato fioretto tra le dita perché, come sappiamo, “Limes” ha colto, con le sue stoccate analitiche, i gangli cruciali della storia in corso. E di questo la coscienza collettiva contemporanea italiana (e non) è certo più debitrice di qualsiasi tuttologia autorefenziale. 

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