Il tragica attualità mi ha indotto a rileggere il Mein Kampf di Hitler. Ma quanto vi cercavo – le ragioni recondite dell’antisemitismo europeo nel secolo scorso, nonché le aberranti premesse teoriche al criminale piano di una «Soluzione finale» – si è presto rivelato, paradossalmente, meno fondamentale di una scoperta che all’epoca in cui lessi per la prima volta quel trattato, trent’anni fa, non poteva essere compiuta: quella del carattere aberrante che sottende l’identitarismo di razza, ovvero l’ideologia identitaria.
Hitler costruisce in effetti l’intero edificio del proprio disegno criminale su un presupposto razziale, razzistico, che nella sua ferrea, patologica coerenza sancisce una sorta di delirante à priori: esistono razze superiori (tra cui sopra tutte quella germanica) e razze inferiori (tra cui sopra tutte quella ebraica e le cosiddette «razze bastarde»).
Storia nota, dirà qualcuno. E davvero è persino pleonastico ribadirlo: nazismo e razzismo prendono corpo l’uno dall’altro ed entrambi dalle Leggi razziali fasciste del 1938 e, ancora prima, dalle Leggi razziali americane del XIX secolo. E affondano, oltreché nelle ragioni della razza, in quel «determinismo geografico» che Friedrich Raztel teorizzò a fine Ottocento postulando la necessità, per la Germania dominante, ma oppressa dai propri confini, di estendere il proprio «spazio vitale» in terre altrui.
Benissimo, diamo per acquisiti questi presupposti.
Senonché rileggendo il Mein Kampf – storditi da quanto possa apparire abominevole e antiquata, disumana e antimoderna, diremmo persino antiglobalistica, questa idea patologica di una presunta «superiorità razziale» degli Ariani, nonché di questa pre-nazista vocazione a dotarsi di uno «spazio vitale» che diventa giocoforza uno «spazio mortale» altrui – un dato di tragica evidenza storica e politica (e prima ancora un dato di tragica evidenza bellica) salta subito agli occhi: come è mai possibile che tale determinismo geografico (a quanto riferiscono le statistiche del maggiore quotidiano israeliano, Haaretz, il consenso nella popolazione israeliana a una deportazione globale dei palestinesi è superiore all’82%) abbia trovato un nuovo bersaglio in quelle che decenni fa Roger Garaudy chiamava le «vittime delle vittime», cioè i palestinesi?
Ovverossia: quale recondito, insondabile meccanismo ha consentito alle frange sioniste più estreme di legittimare la deportazione globale dei palestinesi, replicando e capovolgendo la dinamica perseguitati-persecutori? E laddove, necessariamente, il discorso non può essere – non dovrebbe essere – circoscritto a un post-7 ottobre 2023 (data del sanguinoso massacro di Hamas nei confronti di innocenti cittadini israeliani) né rimuovere quasi ottant’anni di conflitto asimmetrico, quale sedicente diritto all’estensione del proprio «spazio vitale» può agitare i cuori e le armi di un consesso umano (quello sionista radicale, come detto maggioritario in Israele ma non fuori Israele) al punto da muovere a una epurazione in nome della propria «sopravvivenza» e «difesa» (contro un popolo, per altro, storicamente estraneo al nazismo, per quanto armato da una frangia di terroristi collusi con gli interessi geo-economici del potentati regionali)?
Laddove si voglia riconoscere, con Hannah Arendt, nella «banalità del male» un dato che travalica le singole manifestazioni storiche, ci accorgiamo infatti che un certo sionismo militarmente (sia esso applicato in forma di interventismo militare o di colonizzazione coatta) ci pare proceda da presupposti «razziali» che, se da una parte attingono alle Sacre Scritture (Torah in testa), dall’altra si appellano a un pericoloso riduzionismo identitario: eleggere la propria discendenza a «razza eletta» ovvero a «razza superiore» ovvero a razza nel diritto di procurarsi, a danno altrui, il proprio «spazio vitale» (Lebensraum).
Alcuni richiami del Mein Kampf inducono a una riflessione:
...mantenere e far progredire un’umanità superiore, data a questo mondo dalla bontà di Dio.
..i diritti umani? No, l’uomo ha un solo inviolabile diritto, che è poi un inviolabile dovere, quello di operare affinché il sangue si mantenga incontaminato...
Alla coscienza di ciascuno trarre possibili conclusioni, all’intelligenza di ognuno gridare all’abominio ovunque alligni: nel nazismo hitleriano, nella declinazione predatoria di certo sionismo, nel terrorismo di Hamas. E naturalmente ovunque viene imposta l’impostura di uno «spazio vitale» a danno della pace e della dignità altrui: dall’espansionismo sovietico alle guerre coloniali europee, passando per altre prevaricazioni. Non senza però dimenticare che – al contrario di Greci e Romani, che integrarono di solito in sé i popoli conquistati – «spazio vitale» nel senso deteriore del termine non significa affatto integrazione bensì disintegrazione.
“Il Mein Kampf” di Massini
Alphaville 23.10.2024, 18:00
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