Lingue in via d’estinzione

Ogni 40 giorni una lingua scompare in silenzio

Dallo yuchi all’ainu, dal mòcheno al curdo: le lingue a rischio sono molte. E salvarle è un atto di resistenza culturale

  • Oggi, 11:30
lingue in via di estinzione
Di: Sofia Morosoli-Bertoli 

Guardando indietro nel tempo si inquadra forse meglio il problema: che fine ha fatto il latino, ad esempio? È, come si dice, una lingua morta. Anche vicino a noi esisteva un dialetto o, meglio, un gergo, ormai scomparso: il rügin (o rungin) diffuso tra la Val Colla e la Val Cavagna, di cui esistono poche tracce scritte e pochi testimoni, che presto perderemo.

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Già definire cosa sia una lingua è complesso, tanto che nemmeno gli esperti concordano del tutto. Un altro nodo difficile da sciogliere è stabilire quante lingue esistano: secondo le stime più recenti, nel mondo si parlano circa 6’500–7’000 idiomi, ma la distribuzione è estremamente diseguale. Una manciata di lingue domina il mondo: cinese, inglese, spagnolo, arabo e le altre grandi lingue internazionali sono parlate da centinaia di milioni di persone e insieme coprono quasi metà della popolazione mondiale. La maggioranza delle lingue è invece parlata da comunità piccolissime. Circa 3’000 lingue hanno meno di 10’000 parlanti, più di 1’000 idiomi contano meno di 1’000 parlanti e alcune centinaia di lingue sopravvivono con appena poche decine di locutori.

Anche geograficamente le lingue non sono distribuite in modo uniforme. Solo la Papua Nuova Guinea conta circa 700 idiomi, l’Indonesia 600 e più di un terzo di tutte le lingue esistenti – oltre 2’000 – si concentrano nella vasta area del cosiddetto “Greater Pacific”.

La sproporzione di parlanti rende determinate lingue particolarmente vulnerabili all’estinzione, soprattutto laddove la pressione delle lingue dominanti è molto forte. L’UNESCO stima che circa il 40% delle lingue sia oggi a rischio. Si calcola che ogni 40 giorni una lingua muoia. Un’accelerazione tremenda, che prosegue da anni e che rischia di compromettere la diversità linguistica globale. Andando avanti con questo ritmo, la metà delle lingue oggi parlate potrebbe scomparire entro questo secolo.

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Anche le lingue sono a rischio d’estinzione

Tra le righe 25.08.2025, 14:00

  • iStock
  • Enrica Alberti, Neva Petralli e Giulia Indemini

L’UNESCO distingue cinque livelli di pericolo per le lingue: vulnerabili, ancora parlate ma sempre meno dai giovani; in pericolo, non più trasmesse; seriamente in pericolo, usate solo dagli anziani; in pericolo critico, parlate raramente da pochissimi individui; ed estinte, prive di parlanti viventi.

Ma perché una lingua si estingue? Ogni caso è unico, si possono però individuare alcune dinamiche. Un ruolo centrale lo gioca la pressione socioeconomica: in molti contesti, le persone si vedono costrette ad abbandonare le proprie lingue minoritarie in favore di idiomi più internazionali, più utili nel mondo del lavoro. Anche la globalizzazione contribuisce a questa tendenza, spingendo i migranti ad abbandonare la propria lingua d’origine per integrarsi meglio e migliorare le proprie possibilità sociali ed economiche. Questo, a lungo andare, minaccia l’esistenza di alcuni idiomi.

Se fosse possibile individuare una sola causa, forse avremmo già trovato una soluzione. Ma la realtà è più complessa. Ciò che interferisce con la sopravvivenza di una lingua è la mancata trasmissione alle nuove generazioni. Le lingue dominanti hanno progressivamente occupato gli spazi comunicativi prima riservati alle lingue minori o ai dialetti. Se un tempo si parlava il dialetto in famiglia o tra amici, oggi le nuove generazioni tendono a usare la lingua dominante anche in questi contesti più intimi ed emotivi, abbandonando del tutto l’idioma originario. Questo impoverimento linguistico è anche un’emorragia culturale: se i genitori di oggi smettono di usare il dialetto con i propri figli - solo per fare un esempio che ci riguarda da vicino - le future generazioni non potranno più accedere a documenti, memorie, modi di dire e racconti che rappresentano le radici di una comunità.

Anche le scelte politiche possono peggiorare la situazione, soprattutto quando privilegiano le lingue ufficiali a scapito di quelle minoritarie. In Turchia, ad esempio, persistono politiche discriminatorie verso la lingua curda.

Concretamente, quali sono le lingue a rischio?

Moltissime, ma per portare qualche esempio reale possiamo osservare prima il caso europeo. Tra le lingue a rischio in Europa troviamo il gaelico scozzese, parlato nelle Highlands e segnato storicamente da repressioni linguistiche. Conta circa 50’000 parlanti ed è stato rilanciato grazie al riconoscimento ufficiale come lingua nazionale e a prodotti come la serie Outlander, che ha permesso di migliorarne la riconoscibilità come patrimonio culturale. Il mòcheno, invece, è una lingua di origine austro-bavarese parlata in tre comuni del Trentino che oggi ha ancora 2’300 parlanti. Più critiche le condizioni dello zaconico, un idioma greco parlato solo da circa 2’000 anziani.

Fuori dall’Europa alcuni esempi di lingue ad alto rischio sono l’ainu, lingua indigena del Giappone, parlata solo da pochi anziani; lo yuchi, negli Stati Uniti, che conta meno di dieci parlanti fluenti; anche il kawésqar, in Cile, è conosciuto da circa una decina di persone; e le lingue austronesiane buhid e hanunoo, nelle Filippine, mostrano un evidente declino generazionale.

Cosa si può fare per evitare tutto ciò?

Secondo The Guardian, una possibile soluzione potrebbe arrivare dalle nuove tecnologie. L’attivista nigeriana Tochi Precious si è impegnata profondamente nella tutela l’Igbo, una lingua dell’Africa occidentale che si temeva potesse estinguersi entro il 2025. Per salvarla si è appoggiata a Wikitongues, una banca dati globale nata per documentare tutte le lingue del mondo, che finora ne ha censite circa 700.

Il Rohingya, lingua di una comunità originaria del Myanmar, ha invece dovuto trovare una soluzione diversa per sopravvivere. La situazione sociopolitica ha messo in serio pericolo la trasmissione orale di questa lingua, per questo un ricercatore, Muhammed Hanif, ha sviluppato un nuovo sistema di scrittura, l’alfabeto Hanifi, per meglio preservarla. Questo ha permesso di tradurre libri distribuiti in oltre 500 scuole nei campi profughi in Bangladesh, dove sono rifugiati i Rohingya dopo decenni di persecuzioni.

Occorre domandarselo: ha senso salvare ogni lingua? Difficile rispondere. Certo è che quando una lingua scompare, non perdiamo solo un sistema di parole: perdiamo visioni del mondo. Può accadere per molte ragioni, ma alla fine succede sempre in un unico modo: nessuno la parla più. Difendere le lingue significa proteggere l’identità collettiva dell’umanità. Come dovremmo proteggere le specie a rischio, dovremmo proteggere le lingue, perché sono ciò che ci rende umani. Sono tracce del nostro passaggio e sta a noi renderle indelebili.

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