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Pietra su pietra

La vita straordinaria del postino Cheval e la costruzione del suo Palais Idéal. La storia di un uomo, una carriola e un sogno lungo trentatré anni

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Di: Tommaso Giacopini 

Anno 1879, Francia. È notte. Sotto un cielo trapunto di stelle, un uomo è chino su una piccola pila di pietre, illuminate dalla luce tremolante di una lampada a olio. Le sue mani, nodose e forti, le accarezzano con lentezza, tastandone il peso, la porosità, le forme bizzarre. Ne impila alcune, poi le scompone, le ricompone, alla ricerca di qualcosa. Borbotta parole indistinte, lascia cadere i blocchi, si raddrizza la schiena, afferra un’altra pietra dalla carriola vicina e torna a inginocchiarsi.

D’un tratto si ferma: ha trovato l’incastro perfetto. Sì, proprio quello. Con gesti rapidi, eccitati, fissa la struttura con un impasto di calce, cemento e malta. Osserva il risultato aggrottando la fronte; forse i baffi folti nascondono un sorriso. Ma non si concede pause: riprende subito a cercare, tastando le pietre una ad una. Attorno a lui, la notte, con il frinire dei grilli, il rumore secco dei sassi, il richiamo lontano di una civetta. La lampada proietta sulle rocce ombre mutevoli, come presagi di un’opera ancora tutta da immaginare.

La storia del postino Cheval

L’uomo descritto poco sopra è Joseph Ferdinand Cheval, meglio conosciuto semplicemente con il nome di facteur Cheval (postino Cheval) e l’opera alla quale è dedito è il suo Palais Idéal (Palazzo Ideale), realizzato tra il 1879 e il 1912, in trentatré anni di lavoro in solitaria. Si tratta di un monumento alto 12 metri e largo 26, realizzato in pietra, calce, cemento e malta.

La storia di Cheval ha davvero dell’incredibile ed è uno straordinario esempio di resilienza, dedizione e visionarietà. Nato nel 1836 a Charmes-sur-l’Herbasse, una regione nel Sud-Est della Francia, vive un’infanzia povera, com’era tipico della campagna rurale di quei tempi. Costretto a crescere in fretta, va a scuola solo fino al 1848, anno in cui sua madre muore e inizia l’apprendistato di panettiere. Perde anche il padre all’età di 18 anni.

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Si sposa nel 1858 e ha due figli, il primo muore a un anno, il secondo, pur vivendo più a lungo, lo precederà comunque nella morte. Nel 1865 lascia il lavoro di panettiere per dedicarsi all’agricoltura, ma la difficile vita contadina lo costringe ad accettare un lavoro come postino nel 1867. Il postino, a quei tempi e in quel luogo, non era affatto un lavoro né facile né tantomeno leggero. Basti pensare che la “Tournée de Tersanne”, il percorso di cui era incaricato, consisteva in un circuito di circa 30 chilometri da percorrere a piedi, sei giorni alla settimana, per tutto l’anno.

Nel 1873 resta vedovo e, cinque anni dopo, si risposa. Da questo secondo matrimonio nasce la figlia Alice, nel 1879. In quello stesso anno, durante il suo giro quotidiano, Cheval inciampa e ruzzola a terra. Incuriosito dalla causa di quell’inciampo ne cerca la causa. Scopre una pietra dalla forma particolare, che attrae la sua attenzione al punto da decidere di infilarsela in tasca, così da poterla osservare con più calma una volta rientrato a casa.

Il riemergere di un sogno

Quella pietra riporta alla luce un sogno antico, sepolto da quindici anni: in gioventù, Cheval aveva immaginato un palazzo fantastico, un castello irreale. Nel suo diario scriverà:

“...in sogno avevo costruito un palazzo, un castello, forse sotterraneo, non riesco a spiegarlo bene... non ne parlavo con nessuno per paura di essere ridicolizzato, e io stesso, mi sentivo ridicolo. Ecco che quindici anni più tardi, quando avevo quasi dimenticato il mio sogno, quando ormai non ci pensavo più, è stato il mio piede a rammentarmelo. Urtai una pietra che mi fece quasi cadere... Era una pietra dalla forma così bizzarra che l’ho infilata in tasca per ammirarla con calma. Il giorno dopo sono tornato nello stesso posto. Ne ho trovate altre, di pietre, ancora più belle, le ho raccolte e ne sono rimasto entusiasta. Si tratta di un tipo di roccia morbida, lavorata dall’acqua e indurita dalla forza del tempo. È già di per sé una scultura così particolare che è impossibile per l’uomo imitarla, in essa si ritraggono ogni specie di animale, ogni tipo di caricatura

Così mi sono detto: poiché la Natura vuole dedicarsi alla scultura, io mi occuperò di muratura e architettura.”

E così ha inizio la sua impresa eccezionale, l’idea di costruire un “Palazzo Ideale” in solitaria, in un piccolo appezzamento di terra che aveva acquistato con l’idea di dedicarsi ad attività agricole. Da quel giorno in poi sul suo cammino raccoglie quelle pietre che catturano il suo sguardo. Dapprima se le infila semplicemente in tasca, poi in una cesta e in seguito in una carriola. E ogni sera, di ritorno dai suoi 30 chilometri di cammino, lavora al suo sogno: colonne ispirate alle immagini del lontano Oriente, arcate di templi antichi visitati solo in sogno, grotte, nicchie e insenature naturali, animali reali e mitici, tutto frutto della fantasia di Cheval, delle scarse informazioni architettoniche e artistiche che vede raffigurate nelle cartoline che consegna ogni giorno e delle forme che la Natura gli regala.

Il Palazzo Ideale non sarebbe stato soltanto una casa, ma un paesaggio di fantasia costruito a mano, pietra dopo pietra, notte dopo notte.

Trentatré anni di pietre e tenacia

La gente del luogo lo guarda con scetticismo e derisione, chiamandolo pauvre fou (povero matto). Ma lui continua, imperterrito e come ossessionato dalla sua stessa creazione.

Nel 1894 la morte di Alice, figlia del secondo matrimonio, lo colpisce duramente. Alice era nata nell’anno della “pietra d’inciampo” (così chiamava Cheval quella prima pietra raccolta nel 1879), e per lui i due fatti erano profondamente correlati, così era diventata la sua amata e prediletta. Questo ennesimo lutto oscura l’animo di Cheval, che si getta nella sua creazione con rinnovato vigore.

Il Palazzo Ideale diventa per Cheval un sogno totalizzante, una visione capace di assorbire ogni suo pensiero, ogni momento del giorno e della notte. Diventa al contempo fuga da una realtà oscura e avversa e la sua sola ancora di salvezza, vi lavora a qualsiasi ora, senza sapere con esattezza quando il progetto sarebbe visto la fine, affrontando con tenacia la vecchiaia, la derisione dei compaesani, la fatica fisica e il peso del lavoro. Quel palazzo solitario è il suo rifugio, un universo fatuato in cui proteggersi, un mondo morbido e gentile, tanto da battezzarlo “Palais Idéal”: il sogno di un lieto fine.

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Nel 1912, dopo 33 anni di lavoro, posa l’ultima pietra: ha 77 anni. Due anni più tardi la moglie muore. Di nuovo confrontato alla morte esprime il proprio desiderio di venire sepolto nel suo Palais Idéal, tuttavia la legge francese di quel tempo vieta le sepolture al di fuori dei cimiteri. Così si lancia nuovamente in quell’unica attività che conosce e gli dà sollievo, la costruzione di una nuova opera, questa volta la sua propria tomba, all’interno del cimitero di Hauterives. La costruisce nello stesso stile della creazione precedente, con pietre e materiali che trova nelle sue campagne. L’impresa gli costa altri 8 anni di fatica, e la termina nel 1922, all’età di 86 anni. Sicuramente conscio delle fatiche di una vita passata a impilare pietre e impastare cemento chiama il suo sepolcro “Tombeau du silence et du repos sans fin” (“Tomba del silenzio e del riposo senza fine”), probabilmente come auspicio verso un paradiso eterno, vissuto serenamente, in tranquillità e ozio.

Dopo una lunga vita segnata da lutti e perdite, in cui sopravvive con due mogli e tre figli, si spegne all’età di 88 anni, e viene sepolto in quella sua seconda creazione, coronando il sogno di riposare in un tempio costruito con le sue mani.

Da “povero matto” a genio riconosciuto

Nei decenni successivi il Palais Idéal diventa meta di peregrinaggi di artisti, intellettuali e amanti dell’arte. Finalmente la sua opera viene riconosciuta in quanto capolavoro di art brut e outsider art. Negli anni verrà visitata da illustri artisti quali André Breton, Pablo Picasso, Max Ernst e Jean Tinguely. E chissà cosa ne penseranno i compaesani, quando si vedranno arrivare folle di migliaia di turisti ogni anno, a rendere omaggio a quel “pauvre fou” di cui tanto avevano riso.

Oltre a essere un’opera d’arte notevole e unica, non possiamo fare altro che guardare con ammirazione quell’uomo, che ha saputo intuire e scegliere la sua missione di vita, dedicarsi al compimento di un capolavoro e alla realizzazione di un sogno incredibile, folle, con le sue sole forze e con materia prima alla portata di tutti, contro ogni credenza e aspettativa. Mi auguro, infine, che il postino Cheval abbia trovato la sua pace, quella stessa pace che ha donato a ogni pietra, per sempre incastonata in un’opera di grande bellezza.

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Telegiornale 22.05.2025, 20:00

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