Società

I mille modi di essere ebrei

In un tempo segnato da polarizzazioni e semplificazioni, il mondo ebraico si trova di fronte a una scelta cruciale: chiudersi nella difesa identitaria o aprirsi al dialogo e alla pluralità

  • Oggi, 10:00
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Di: Alphaville/Mat 

Il conflitto israelo-palestinese ha riacceso non solo le tensioni geopolitiche in Medio Oriente, ma anche le divisioni interne al mondo ebraico. Fratture profonde, che alcuni definiscono “scismatiche”, si sono acuite negli ultimi anni, soprattutto sotto i governi di destra in Israele, rendendo sempre più controverso il rapporto tra ebraismo, sionismo e Stato.

Al centro del dibattito c’è una domanda cruciale: cosa significa essere ebrei oggi? E come si può conciliare l’identità ebraica con posizioni critiche verso le politiche israeliane? Scrittori e intellettuali come David Grossman, Ilan Pappe e Aharon Bregman hanno espresso dissenso netto, rivendicando il diritto di criticare Israele senza rinunciare alla propria appartenenza ebraica.

La storica Annie Cohen-Solal, nata in una famiglia ebrea algerina, ha parlato apertamente di una crisi identitaria profonda: «Ci sono 1000 modi di essere ebrei […] Per il popolo ebraico sarà necessario affrontare un vero e proprio scisma». Un’affermazione forte, che ha suscitato reazioni contrastanti. Il giornalista Gad Lerner ha risposto con cautela: «Scismi nella storia millenaria dell’ebraismo non ne ricordo, ma molte eresie sì e molte frantumazioni».

Le stesse parole — e i loro significati — sembrano frantumarsi, disseminarsi. Basti pensare alla polisemia del termine “ebraismo”, che può indicare una religione, un’appartenenza culturale, una discendenza, una nazione, uno Stato. Un ginepraio semantico e identitario che viene esplorato con lucidità dalla semiologa Valentina Pisanty, professoressa all’Università di Bergamo e autrice di Antisemita. Una parola in ostaggio (Bompiani, 2025), e dal giornalista Gad Lerner, autore di Ebrei in guerra. Dialogo tra un rabbino e un dissidente (Feltrinelli, 2025), scritto con il rabbino Riccardo Di Segni. Intervistati da Barbara Camplani e Francesca Rodesino nella rubrica radiofonica Alphaville, la Pisanty e Lerner ci offrono i paletti cui agganciare le informazioni.

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Fratture scismatiche nel mondo ebraico

Alphaville 16.10.2025, 12:05

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  • Francesca Rodesino e Barbara Camplani

Al cuore della frattura c’è la questione dell’identità. Come spiega Pisanty, per alcuni l’ebraismo è innanzitutto religione; per altri, una discendenza biologica; per altri ancora, una tradizione culturale. A queste interpretazioni si è aggiunta, negli ultimi decenni, una quarta: l’identificazione dell’ebraismo con il sionismo e con lo Stato di Israele. Una tendenza che, secondo Pisanty, mira a «riportare l’identità ebraica all’identità israeliana», semplificando una realtà storicamente plurale.

Questa semplificazione ha generato tensioni profonde, soprattutto tra la diaspora ebraica e Israele. Il dibattito si è ulteriormente complicato con l’uso politico del termine “antisemitismo”. Pisanty denuncia una vera e propria manipolazione semantica: «Questa parola è stata estratta dal lessico comune e presa in carico da istituzioni allineate all’agenda dei governi israeliani di estrema destra, per modificarne artificialmente il significato, riportando il nucleo semantico sul versante dell’antisionismo».

Il risultato è una pericolosa equiparazione tra antisemitismo e critica a Israele, con conseguenze rilevanti sul piano giuridico e della libertà di espressione. In Italia, il decreto legge Gasparri propone di introdurre questa equiparazione nel codice penale. Lerner mette in guardia: «Se tutto è antisemitismo, più niente è antisemitismo». E invita a usare le parole con la cautela di chi conosce le ferite dell’altro, se davvero si vuole costruire un percorso di pace.

Ma la questione terminologica è solo il sintomo di una crisi più profonda. Come sintetizza Pisanty, la vera frattura è tra chi interpreta il “mai più” — la promessa solenne nata dalla Shoah — in senso universalista, come monito contro ogni oppressione, e chi lo legge in chiave esclusiva: “mai più per gli ebrei”, anche a costo di politiche aggressive. Da una parte, l’ebraismo come messaggio di liberazione per tutti; dall’altra, come imperativo di autodifesa etnica.

Questa dicotomia tra universalismo e particolarismo attraversa il mondo ebraico in tutte le sue articolazioni. Esistono gruppi ortodossi antisionisti che rifiutano lo Stato di Israele per motivi religiosi, e correnti sioniste radicali che lo sacralizzano. In mezzo, una pluralità di voci che cercano di tenere insieme identità e apertura, memoria e critica.

Il libro di Lerner e Di Segni rappresenta un tentativo coraggioso di confronto. Il rabbino capo di Roma ha scelto di dialogare con una voce dissidente, rifiutando le richieste di scomunica avanzate da ambienti più intransigenti. Un gesto che indica la possibilità di un dibattito interno, franco e rispettoso.

La sfida per il mondo ebraico è quella di preservare la propria identità senza rinunciare alla complessità. Di salvare, come dice Lerner, quella dimensione universale del messaggio biblico: «la storia della speranza, della redenzione, della liberazione dalla schiavitù» che ha parlato — e continua a parlare — al mondo intero.

In un tempo segnato da polarizzazioni e semplificazioni, il mondo ebraico si trova di fronte a una scelta cruciale: chiudersi nella difesa identitaria o aprirsi al dialogo e alla pluralità. Le fratture sono profonde, ma non irreparabili. Solo un confronto onesto, che non tema le divergenze, potrà trasformare lo scisma in possibilità di rinascita.

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