Mobilità insostenibile

SUVmania

L’industria automobilistica si aggrappa ai SUV, feticcio tossico di un’industria in crisi

  • Ieri, 13:00
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Di: Mat 

Il SUV non è solo un veicolo. È un sintomo. Il sintomo di un’industria che, pur sapendo di essere al capolinea, continua a fumare la sua ultima sigaretta. Il SUV è il tabagismo dell’automotive: un’abitudine tossica, redditizia, difficile da estirpare. E come ogni dipendenza ben confezionata, si alimenta di negazione, testosterone pubblicitario e paura sociale. Non risponde a bisogni reali, ma a fantasie di controllo e status.

I SUV rappresentavano oltre il 50% delle auto nuove vendute in Europa. Un dato che non racconta solo una preferenza estetica o funzionale, ma una vera e propria mutazione culturale. Le città si riempiono di veicoli pensati per la savana, mentre i marciapiedi si restringono e i pedoni si fanno invisibili. Il SUV è diventato il simbolo di una mobilità che non vuole adattarsi, ma imporsi.

Secondo la Global Fuel Economy Initiative, la “SUV-mania” ha annullato il 25,8% del potenziale taglio delle emissioni di CO₂ tra il 2010 e il 2022. Se non fosse per la corsa ai veicoli sempre più grandi e pesanti, la transizione verso l’elettrico avrebbe già prodotto una riduzione del 30% delle emissioni. Invece, ci siamo fermati a un misero 4,2%. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), il 95% dei SUV in circolazione usa ancora combustibili fossili, con un consumo medio del 20% superiore rispetto alle auto tradizionali.

E non basta passare all’elettrico. I SUV elettrici, pur a zero emissioni locali, continuano a essere sovradimensionati, energivori e mineralo-dipendenti. Come ha dichiarato Dan Sperling, direttore dell’Institute of Transportation Studies dell’Università della California: «Invertire la tendenza è fondamentale per raggiungere una mobilità realmente sostenibile».

Il paradosso è evidente: mentre le amministrazioni urbane cercano di ridurre il traffico e le emissioni, le strade si riempiono di “battelli su ruote” che occupano più spazio, consumano più risorse e inquinano di più. Parigi ha già reagito, introducendo tariffe di parcheggio maggiorate per i SUV e proponendo restrizioni alla loro circolazione. Ma il resto d’Europa sembra ancora ipnotizzato dal mito del «capobranco».

Le pubblicità non aiutano. I marchi descrivono i loro i SUV come dotati di «attributi dominanti». Il messaggio è chiaro: comprare un SUV non è solo una scelta di mobilità, è una dichiarazione di potere. Un modo per dire: «Io non mi adatto. Io mi impongo». È l’automobile come armatura, come status, come resistenza al cambiamento.

Eppure, la maggior parte dei SUV non vede mai una strada sterrata. Come ironizza il designer Patrick Le Quément: «La maggior parte delle persone vive in città o nei dintorni e non prende un’auto per andare nella foresta. Eppure ha funzionato». Il SUV è una fantasia urbana, un’illusione di libertà in un mondo sempre più congestionato.

La verità è che il SUV è una bomba a orologeria. Questi veicoli resteranno in circolazione per almeno vent’anni, perpetuando un modello di mobilità insostenibile. E mentre il mondo brucia, l’industria continua a vendere sogni a quattro ruote, ignorando il conto ambientale che si accumula giorno dopo giorno.

È tempo di smettere di confondere la stazza con la sicurezza. Il futuro della mobilità non ha bisogno di carrozzerie ipertrofiche né di nostalgie corazzate. Serve una rivoluzione mentale, non tonnellate di metallo.

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Classic Car Circuit

Tra le righe 28.08.2025, 15:30

  • Keystone
  • Sarah Tognola, Neva Petralli e Giulia Indemini

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