Società

Skincare a tre anni: moda o cortocircuito culturale?

Il fenomeno delle Sephora Kids mostra bambine alle prese con skincare e routine adulte. Tra marketing, social e ansia di esclusione, così l’infanzia diventa consumo precoce di un business che raggiungerà i 360 milioni di euro entro il 2028

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Sephora Kids
Di:  Emanuela Musto 

 «Non si tratta di bellezza ma di prendersi cura di sé, da insegnare alle nostre figlie in modo divertente e sicuro». Con queste parole l’attrice Shay Mitchell ha promosso la sua linea di prodotti di skincare per bambine a partire dai tre anni. Tre anni. Maschere di bellezza, creme e detergenti che ricalcano in tutto e per tutto quelli utilizzati dalle madri, ma confezionati con colori vivaci e packaging accattivanti realizzati per una nuova fascia di consumatrici: le Sephora Kids. Il fenomeno, esploso sui social, ha conquistato le cronache internazionali. Bambine di otto, nove, dieci anni che mostrano skincare routine complesse, con prodotti anti-age e sieri al retinolo. Una moda nata negli Stati Uniti e ormai diffusa anche in Europa, Svizzera compresa.

Inevitabile la domanda: è davvero un gioco innocente o il segnale di una trasformazione più profonda del nostro rapporto con l’infanzia, la bellezza e il corpo?

La storia del make-up ci racconta che il trucco è sempre stato uno specchio della società. Nel secondo dopoguerra, i cosmetici erano destinati soprattutto alle giovani donne, simbolo di emancipazione e di modernità. Negli anni ’60 e ’70 si affermarono prodotti specifici per adolescenti - come le linee contro l’acne - mentre le creme anti-età rimanevano appannaggio delle donne considerate più “mature”. Negli anni ’90 arrivarono i trucchi giocattolo, rossetti di plastica e palette color pastello, pensati per imitare le madri, ma senza alcuna reale funzione cosmetica. Oggi, invece, il confine tra gioco e consumo si è dissolto. I prodotti non sono più finti, ma reali e spesso formulati per pelli adulte: retinolo, vitamina C, acidi esfolianti. Ingredienti che possono risultare aggressivi e dannosi per la pelle delicata dei bambini.

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Il cortocircuito culturale è evidente. L’infanzia, tradizionalmente associata al gioco e alla scoperta, viene colonizzata da logiche commerciali e di estetica adulta. Dietro questa tendenza, infatti, c’è un mercato in piena espansione. Secondo le stime ufficiali, il settore della cura della pelle per bambine crescerà a un ritmo annuo del 77% fino al 2028, raggiungendo un volume globale di quasi 360 milioni di euro. Numeri che spiegano perché le aziende cosmetiche guardino con tanto interesse a questo nuovo segmento di mercato. L’infanzia diventa un bacino di consumatori da educare fin da subito al linguaggio del brand, alla fedeltà al prodotto, alla ritualità del consumo. Non più bambine, ma clienti in miniatura.

Così facendo le Sephora Kids interiorizzano l’idea che la bellezza sia un dovere fin dalla preadolescenza. TikTok e Instagram sono il palcoscenico di questa trasformazione: video di haul (contenuti video in cui si mostrano e commentano i recenti acquisti), routine mattutine e consigli di prodotti alimentano la paura di essere escluse se non si possiede la crema giusta.

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  • Lina Simoneschi Finocchiaro

I dermatologi avvertono: l’uso precoce di certi prodotti può provocare irritazioni, alterazioni della barriera cutanea e sensibilizzazioni permanenti. Ma il problema non riguarda solo la pelle. Gli esperti sottolineano i rischi emotivi: l’ossessione per la pelle perfetta può generare ansia, insicurezza e un rapporto distorto con il corpo. Crescere con l’idea che la propria immagine debba essere costantemente curata e migliorata significa interiorizzare un modello di autostima fragile, dipendente dal giudizio esterno. È la stessa gabbia che molte donne adulte conoscono bene: un corpo sempre sotto esame, sempre da correggere, sempre da migliorare.

Il dibattito sulle Sephora Kids non riguarda solo la dermatologia o la psicologia infantile, ma la società nel suo complesso. È il segnale di una cultura che ha accelerato la transizione dall’infanzia all’età adulta, riducendo gli spazi di gioco e di libertà. In passato, le bambine imitavano le madri giocando a “fare le signore”; oggi imitano influencer globali, con prodotti reali e rituali quotidiani. La differenza è sostanziale: non si tratta più di gioco simbolico, ma di consumo effettivo. Contro questa tendenza sono apparse campagne come il Dove Self-Esteem Project che hanno denunciato la cultura tossica che spinge le ragazze a preoccuparsi del proprio aspetto già a dieci anni. Anche iniziative come #LikeAGirl di Always e This Girl Can nel Regno Unito hanno ribaltato gli stereotipi di bellezza e performance, mostrando corpi reali, imperfetti, forti. Sono segnali di resistenza, tentativi di restituire alle nuove generazioni un immaginario diverso, lontano dalla dittatura dello specchio.

Il fenomeno delle Sephora Kids ci obbliga a riflettere su come i social media e il marketing stiano ridefinendo l’infanzia. Non è solo una moda passeggera, ma un sintomo di una società che anticipa i ruoli e accelera i processi di crescita. In un mondo che insegna alle bambine a prendersi cura della pelle prima ancora di imparare a prendersi cura di sé, il rischio è che la bellezza diventi un dovere e non più un gioco. La sfida è restituire alle bambine il diritto di essere bambine senza negar loro il concetto di bellezza, ma liberarlo dagli stereotipi e dalle imposizioni. La sfida è restituire alle nuove generazioni la libertà di crescere senza che il loro valore venga misurato allo specchio.

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