Società

Femminicidi: (ri)cominciamo dalle parole e dai dati

Dalla scelta di non nominare il fenomeno all’assenza di dati: analizzare la violenza di genere richiede un cambio di paradigma, anche in Svizzera

  • Oggi, 08:00
  • 31 minuti fa
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Di: Elena Panciera 

Oggi, 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999 con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere azioni concrete contro la violenza di genere. La data non è casuale: commemora l’assassinio delle sorelle Mirabal — Patria, Minerva e María Teresa — attiviste politiche della Repubblica Dominicana, brutalmente uccise nel 1960 dal regime del dittatore Rafael Trujillo.

La violenza di genere si contrasta (anche) su due fronti connessi: quello delle parole (l’atto di nominare) e quello dei numeri (l’atto di contare). Come scrive Donata Columbro nel saggio Perché contare i femminicidi è un atto politico (Feltrinelli, 2025), nominare e raccogliere dati sulla violenza di genere «significa mettere in discussione strutture patriarcali [...] che spesso occultano o minimizzano» il fenomeno.

I dati rendono visibile l’invisibile e alimentano il dibattito politico. Ma prima di contare, dobbiamo concordare sulle parole. E le definizioni non sono accettate in modo universale. «La mancanza di linguaggio è impressionante. La mancanza di linguaggio ci lega, ci soffoca», scrive la giornalista Cristina Rivera Garza, autrice del libro L’invincibile estate di Liliana sul femminicidio della sorella (Sur, 2023).

Columbro ricostruisce la storia della parola “femminicidio”: la prima volta che compare sui giornali italiani è nel 1977, ma è solo nel 2008 che la parola entra tra i “neologismi” di Treccani.

“Femminicidio” non è sinonimo di “omicidio di una donna”. Il termine non definisce il genere della vittima, ma la motivazione del crimine: l’uccisione di donne, ragazze, persone trans e non binarie in ragione del loro genere, motivata da (trans)misoginia, senso del possesso o volontà di controllo. Se una donna muore in un incidente stradale causato da uno sconosciuto, è un omicidio. Se viene uccisa dal partner che non ne accettava la separazione, è un femminicidio.

Nel 2022 l’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine) e UN Women (l’agenzia delle Nazioni Unite che lotta per i diritti delle donne) hanno pubblicato lo strumento internazionale di riferimento per avere indicazioni su come misurare la violenza di genere in ogni paese: la ricerca  Gender-related Killings of Women and Girls (Femicide/Feminicide). Global Estimates of Female Intimate Partner/Family-related Homicides in 2022). La definizione di femminicidio che propongono è molto estesa: «Gli omicidi di donne e ragazze motivati dal genere possono verificarsi in diverse situazioni sia nella sfera privata che in quella pubblica, e in diversi contesti di relazione vittima-autore del reato. Ne sono un esempio gli omicidi commessi a seguito di violenza domestica, gli omicidi commessi a seguito di stupro, i cosiddetti “delitti d’onore”, gli omicidi legati alla dote, gli omicidi di donne accusate di stregoneria e gli omicidi motivati dal genere connessi a conflitti armati o bande criminali, alla tratta di esseri umani e ad altre forme di criminalità organizzata» (traduzione mia).

Ma questa definizione è tutt’altro che applicata universalmente in ambito legale e politico, e molti stati, tra cui la Svizzera e l’Italia, non hanno un reato specifico nel codice penale. In Italia, la legge 119 del 2013 ha introdotto il reato di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela o convivenza con la vittima di sesso femminile. In Svizzera gli atti che nominiamo femminicidi vengono perseguiti legalmente attraverso altri reati: “omicidio intenzionale” (art. 111), “assassinio” (art. 112) e “omicidio passionale” (art. 113). Quest’ultimo definisce il caso in cui «il colpevole ha agito cedendo a una violenta commozione dell’animo scusabile per le circostanze o in stato di profonda prostrazione». L’omicidio passionale è problematico, perché può essere confuso con il “delitto d’onore”. Nel 2020 Greta Gysin ha presentato una  mozione al Consiglio nazionale per modificarla. La mozione però è stata respinta, e l’omicidio passionale è rimasto nel codice penale.

Il dibattito in Svizzera si concentra anche su un altro punto, che ha a che fare con la differenza tra “omicidio intenzionale” e “assassinio”. Quest’ultimo si applica se «movente, scopo o modalità [sono] particolarmente perversi». C’è quindi chi sostiene che il femminicidio rientri già in questa definizione.

Ma Columbro mette in guardia: «Questa non è una questione lessicale, ma la scelta di non riconoscere la natura sistemica e patriarcale del fenomeno». E continua: «La pratica di contare i femminicidi, e di monitorare la violenza di genere, parte prima di tutto dalla definizione e dall’intenzione di vedere un’anomalia».

La mancanza di definizioni fa sì che ci sia anche una mancanza di dati: se non si sa cosa contare, diventa molto difficile farlo. La mancanza di dati pubblici, accessibili e disaggregati è una forma di ingiustizia ermeneutica: impedisce di comprendere un problema sociale.

Questo rende difficile analizzare la natura sistemica della violenza di genere e attuare le misure di prevenzione e protezione specifiche richieste, tra l’altro, dalla Convenzione di Istanbul, un trattato internazionale del Consiglio d’Europa che tutela le donne e le ragazze da varie forme di violenza, che la Svizzera ha ratificato nel 2018.

Anche in Svizzera i dati ufficiali sono incompleti. L’Ufficio federale di statistica (UST) non parla di femminicidio, ma di  “violenza domestica”. Nel 2024, registra 26 omicidi in ambito domestico, di cui 19 vittime di sesso femminile. Non ci sono dati ufficiali per l’anno in corso, né dettagli sul movente.

Questa lacuna istituzionale è (parzialmente) colmata dai “contro-dati”, come li definisce Columbro: il monitoraggio “dal basso” fatto dall’attivismo. L’associazione  Stop Femizid, per esempio, conta anche i femminicidi commessi fuori dalla coppia, includendo quelli motivati anche da razzismo, transfobia o contro le lavoratrici del sesso.

Il loro lavoro evidenzia anche le difficoltà della raccolta. Nel 2024 ne riporta 20 (1 in più rispetto ai dati UST), e 1 tentativo. A oggi (12 novembre 2025), Stop Femizid riporta 22 femminicidi e 8 tentativi. Sul sito vengono elencate data, luogo ed età delle donne uccise o che hanno rischiato di essere uccise (dato che manca tra quelli dell’UST). Mancano però dati su chi le ha uccise, sulla loro eventuale relazione, sull’eventuale presenza di figli. 

La Rete contro i femminicidi (Réseau contre les féminicides o Gemeinsam gegen Feminizide, non esiste una versione in italiano) propone le notizie più aggiornate sul tema: l’11 novembre ha reso noto il ventottesimo femminicidio in Svizzera

L’organizzazione denuncia l’aumento “allarmante” della violenza contro le donne.
30:00

Contro la Violenza di genere e domestica

Modem 25.11.2025, 08:30

  • TiPress

Il recentissimo Rapporto parallelo della società civile sull’implementazione della Convenzione di Istanbul in Svizzera (sul sito ci sono solo le versioni in tedesco e in francese), realizzato dalla Rete Convenzione di Istanbul e datato ottobre 2025, pur citando la stessa fonte, riporta «24 femminicidi» a settembre 2025, 19 per il 2024.

Questa discrepanza non sminuisce il lavoro (enorme) delle associazioni, ma dimostra una cosa sola: l’urgenza che siano le istituzioni a farsi carico di una raccolta dati trasparente, omogenea, tempestiva, e che usi le definizioni corrette.

L’11 novembre del 2025 l’UST ha pubblicato un approfondimento sugli omicidi 2019 - 2023 (finora solo in francese e tedesco), che offre informazioni più precise sulle circostanze e le cause dei reati. Il documento non usa il termine “femminicidio” perché non ha una definizione legale nel Codice penale svizzero, ma l’UST «esaminerà l’anno prossimo se la definizione di femminicidio delle Nazioni Unite sia applicabile ai dati della SPC allo scopo di ottenere risultati statistici». Specifica poi che i dati raccolti «devono permettere di identificare eventuali segnali d’allarme e fattori di rischio, per essere utili al lavoro di prevenzione e in particolare alla protezione delle vittime» (traduzione mia). A questo infatti dovrebbero servire i dati: a prendere decisioni politiche per prevenire i femminicidi.

Il Rapporto parallelo della società civile è netto: la Svizzera sta fallendo nell’applicare la Convenzione di Istanbul, soprattutto per la mancanza di risorse, di formazione e di una strategia coordinata. Abbiamo leggi che ancora parlano di omicidio passionale, un uso discontinuo del termine femminicidio, un generale disaccordo sulla sua definizione, e una raccolta dati frammentata, delegata di fatto all’attivismo.

L’Enquête complémentaire dans le cadre de la statistique policière de la criminalité (che ci auguriamo venga presto tradotto anche in italiano) e la campagna L’uguaglianza previene la violenza sono sicuramente punti di partenza incoraggianti. Ma non possiamo dimenticare che contare e nominare sono atti politici e di responsabilità. Usare la parola femminicidio non è una scelta ideologica, ma una scelta di precisione. Chiedere dati pubblici, tempestivi, accessibili e disaggregati è uno strumento potente per prevenire i femminicidi futuri.

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  • Antonio Bolzani

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