Società

Vivi o morti: il limbo delle persone scomparse in Ticino

Quando l’assenza diventa una ferita aperta e la speranza si intreccia con il bisogno di verità

  • 18 giugno, 14:00
  • 19 giugno, 15:48
16X9 Vivi o morti
Di: Andrea Gloor 

Era una giornata calda e stavo tornando da una gita in montagna quando ho sentito un annuncio alla radio. La polizia cercava una persona scomparsa. Quel nome mi ha colpito: era il padre di un mio collega, Mattia. Da quel momento, ho capito che il mondo delle persone scomparse, fino ad allora per me astratto e lontano, poteva toccare chiunque. E che dietro ogni nome c’è una rete di affetti, di domande, di dolore. Così è nato questo podcast: per capire, per raccontare, per dare voce a chi resta.

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Vivi o morti

RSI Vivi o morti 17.06.2025, 14:00

  • Andrea Gloor

Un fenomeno in crescita

Nel 2023, in Ticino sono state formalizzate 69 denunce di scomparsa, quasi il doppio rispetto al 2020. Tra queste, 49 riguardano minori. Ma i numeri, da soli, non raccontano il dolore. Lo fanno invece le voci di chi resta: Mattia, Selena, Veronica. E quelle di chi cerca: come il capitano della polizia giudiziaria Orlando Gnosca, o Valentina Zaniolo, presidente dell’associazione Penelope Lombardia.

Il caso di Giuseppe: ‘Senza corpo, non c’è pace’

Giuseppe, Pino per tutti e  padre di Mattia, è scomparso il 30 giugno 2022. Aveva 75 anni, una vita tranquilla alle spalle, qualche problema di salute ma nulla che facesse presagire una sparizione. Le ricerche si sono concentrate sui monti sopra Carasso, dove forse si era recato per un ultimo saluto a un amore del passato. Non è mai stato ritrovato.

“È come se fosse svanito nel nulla”, racconta Mattia. “Senza un corpo, non puoi nemmeno fare un funerale. Non puoi chiudere”. Eppure, anche un solo frammento – un osso, un oggetto, una traccia – può fare la differenza. “Trovare anche solo un osso – dice – significherebbe poter dire addio. Sapere. Fermare il tempo”.

La legge svizzera prevede cinque anni di attesa prima di poter dichiarare una persona scomparsa come presumibilmente morta. Un tempo che, per chi resta, è un’agonia. “Nel frattempo – spiega Mattia – devi continuare a pagare bollette, pensioni, gestire conti bloccati. E nessuno ti aiuta davvero”.

Il dolore che non si vede

Il dolore di chi resta è spesso invisibile. “Ti chiedi se avresti potuto fare di più. Se hai sbagliato qualcosa. E intanto la vita va avanti, ma tu sei fermo lì, a quel giorno”.

Anche Selena, nipote di Genevieve – scomparsa nel 2017 – ha vissuto lo stesso senso di solitudine. Ha deciso di aprire una pagina Facebook per tenere viva l’attenzione sul caso della zia. “È stato un modo per non sentirsi impotente. Per dire: ci siamo ancora, non abbiamo dimenticato”.

Il ruolo della polizia e il valore della comunicazione

Il capitano Orlando Gnosca, da anni in prima linea nei casi di scomparsa, racconta come ogni denuncia attivi immediatamente una rete di ricerca: pattuglie, telecamere, segnalazioni. Ma ogni caso è diverso. Alcuni riguardano minori non accompagnati, altri adulti che si allontanano volontariamente. La comunicazione pubblica è uno strumento delicato: può aiutare a raccogliere segnalazioni, ma può anche esporre chi è scomparso a uno stigma. “Ogni informazione resta online – spiega – e chi viene ritrovato ha diritto all’oblio”.

Una rete fragile, ma necessaria

In Svizzera non esiste un coordinamento nazionale per le persone scomparse. Ogni cantone gestisce i propri dati, spesso in modo riservato. “Manca una rete strutturata di supporto psicologico e legale per le famiglie”, denuncia Valentina Zaniolo. La sua associazione, Penelope, nata in Italia dopo il caso Claps, cerca di colmare questo vuoto offrendo ascolto, consulenza e accompagnamento. Ma in Svizzera, il modello ancora non esiste.

Eppure, il bisogno è forte. “Le famiglie hanno bisogno di qualcuno che le accompagni – dice Valentina – anche solo per spiegare cosa succede, cosa si può fare, cosa aspettarsi. E per non sentirsi soli”.

La speranza, nonostante tutto

Il podcast si chiude con una riflessione della psicologa Tamara Rigano: “Accettare una scomparsa significa imparare a convivere con l’assenza, senza lasciarsi consumare dal dubbio. Ma per farlo, serve una comunità che non lasci soli i familiari”.

“Vivi o Morti” non è solo un titolo provocatorio. È una domanda che resta sospesa, come le vite di chi cerca risposte. Perché, come dice Mattia, “vivi o morti, l’importante è trovarli”.

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