Storia

L’eterno ritorno della Guerra di Troia

La sanguinolenta guerra tra Achei e Troiani, tanto lontana nel tempo quanto vicina nei fatti

  • 12 giugno, 13:22
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Achille e Aiace rappresentati su un vaso antico

Di: Red. 

Miserabile, lacrimosa, dolorosa, raccapricciante. Così viene descritta la “guerra” nell’Iliade, il poema epico attribuito a Omero e composto intorno al 730 a.C. Una guerra che, con la sua ferocia e violenza, attraversa ogni passaggio del testo, lasciando traccia del destino di un popolo conquistato e della determinazione degli assedianti. Tutti elementi che ritroviamo, sempre più, nel nostro quotidiano, oggi segnato da guerre vicine e lontane.

Se ne è parlato ad Alphaville, su Rete Due, prendendo spunto dalla recente pubblicazione, per la casa editrice LetteraVentidue, del libro La guerra di Troia. Figure e testi per la messinscena di un mito di Beniamino Servino, con i testi di Eugenio Tescione, con lo stesso Beniamino Servino, architetto, autore di numerosi libri, disegni e opere realizzate con tecniche diverse, e Valerio Paolo Mosco, critico e storico dell’architettura, docente di Composizione architettonica e urbana all’Università di Venezia.

"La guerra di Troia. Figure e testi per la messinscena di un mito" di Beniamino Servino e Eugenio Tescione,  LetteraVentidue, (dettaglio di copertina)
  • letteraventidue.com

Da dove nasce l’urgenza, oggi, di tornare proprio a riflettere su una guerra epica come quella di Troia? Cosa ci dice ancora quella vicenda? 

«Ma questo è un lavoro che ha radici molto antiche, risalenti alla mia fanciullezza quando mi sono imbattuto nell’Odissea televisiva, che mi impressionò. Fu un’esperienza veramente nuova per me. E quelle immagini, quelle atmosfere, soprattutto quelle figure, mi hanno lasciato una traccia indelebile. Questi elementi hanno poi segnato il ritorno di un interesse verso certi momenti della della storia del mito che poi in fondo non ci hanno mai abbandonato».
Beniamino Servino, architetto e autore

Valerio Paolo Mosco in un articolo pubblicato su Doppiozero sostiene che l’io collettivo occidentale è ancora radicato nelle vicende della guerra di Troia. In che modo sono radicate e perché?

«La storia dell’Occidente è una storia di guerre. La cosa importante è che il bisogno di radicamento vuol dire che se radicate all’interno di un mito le cose diventano più chiare. Diventa più chiara anche l’accettazione dell’altro. Il punto è il mito, cioè ci si radica attraverso il mito, il quale non è nient’altro che un rito che ad un certo punto si è riuscito a stabilizzare. Ed è ciò che rimane, cioè ciò che si tramanda. E se noi siamo ciò che lasciamo, il mito ne è proprio la testimonianza. La cosa importante, secondo me, è che il mito non è per forza profondissimo. Anzi, è qualcosa che attraversa tutto e lo attraversa con una spaventosa leggerezza, per cui la guerra di Troia seduce un bambino così come un adulto. Si dona immediatamente a chi se ne imbatte. È proprio questo suo donarsi immediato che rappresenta il suo mistero».
Valerio Paolo Mosco, critico e storico dell’architettura

Il Prof. Mosco sostiene che Simone Weil aveva compreso che l’Occidente non è spiegabile senza uno dei suoi miti fondativi come la guerra di Troia, senza insomma il poema della forza. Ma il mito, per essere eterno ed entrare quindi nella storia, deve necessariamente essere nato dalla violenza?

«La violenza può essere fisica, può essere metaforica, può diventare monumento. L’architettura nasce come monumentalizzazione del sacrificio. Il tempio greco non era nient’altro all’inizio che uno strampalata struttura di travi in cui vengono appese le interiora e poi mano mano questo ha prodotto l’epopea cristiana. Di fatto è questa l’Eucarestia, un sacrificio. Qui è un discorso metaforico, non è un discorso che va al di là di tutto ciò».
Valerio Paolo Mosco, critico e storico dell’architettura

«Io più che del sacrificio parlerei della modalità con cui tutto questo viene trasmesso, che quella del rapsodo, di chi ascolta delle storie, le fa sue e attraverso la sua le racconta ad altri. Quindi è un continuo rimbalzare di adattamenti che poi trasmettono contenuto originario ed originale. Io nel nel mio lavoro mi guardo intorno e fra quello che vedo se c’è qualcosa che mi interessa e mi colpisce particolarmente provo a farlo mio, adattandolo a me. E in questo mi sento davvero un rapsodo, cioè racconto ad altri le cose che ho amato, che conosco, che esistono e che passano attraverso di me per diventare racconto poi ad altri. Quindi la realtà ha questo dono ineguagliabile e insostituibile: poter essere adattata e trasformata continuamente dal desiderio, dal bisogno, dalla necessità ma soprattutto dalla ricerca di un equilibrio che diventa poi piacere tutto personale».
Beniamino Servino, architetto e autore

In ogni guerra si riflette anche la dinamica del trauma, ovvero la riproposizione di antichi conflitti interiori proiettati su scala collettiva. Ma ritroviamo anche la speranza di un ritorno a casa e di una pace che si spera ancora possibile avere coscienza di questo meccanismo. Io credo che sia anche parte di quella che è l’unica chiave possibile per immaginare di poter un giorno rompere anche il circolo vizioso di quella violenza che partorisce la guerra e viceversa. Come si scardinano i miti?

«I miti si costruiscono, non si scardinano. Questo è il punto essenziale. Il mito può essere totalmente una forma quasi vuota che un bambino può accogliere totalmente, ma poi ha una lunghezza semantica incredibile per cui ci ritorni tutta la vita. Proprio questo è il mistero di cui noi abbiamo bisogno. Per quanto riguarda poi specificamente la guerra, è chiaro che l’atto del sacrificio, l’atto della morte è il più estremo di tutti. È chiaro che ha in sé un’attrattiva epica anche perversa per certi versi. Però questa cosa è innata nella natura umana. I danni di un tipo di atteggiamento che nega la natura umana sono a mio avviso essenzialmente quelli di creare una condizione in cui la guerra può perpetuarsi all’infinito. Ma nelle grandi guerre epiche a un certo punto c’è la pietas e persino l’amore nei confronti del nemico».
Valerio Paolo Mosco, critico e storico dell’architettura

24:02

Il ritorno alla guerra di Troia 

Alphaville 03.06.2025, 12:35

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  • Mario Fabio

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