Fu una battaglia cruenta quella che si svolse nei pressi di Giornico; uno scontro sofferto e combattuto con forza da pochi leventinesi, che riuscirono infine a dichiararne la vittoria il 28 dicembre 1478. È la battaglia di Giornico, comunemente conosciuta anche come battaglia dei Sassi Grossi e, nei Martirologi di Prato e di Mairengo, come “Vicenda di Giornico”. Si svolse sul territorio tra Bodio e Pollegio che all’epoca si estendeva fino al Brenno; Giornico infatti era un territorio conteso quale importante centro politico e religioso della Valle Leventina e godendo di una posizione strategica ai piedi delle gole della Biaschina. Nel corso dei secoli, fu quindi un luogo di sosta e di approvvigionamento per chi intendeva varcare le Alpi tramite il passo del San Gottardo.
Di spicco durante il Medioevo fu anche il ricco casato dei Da Giornico, che vantava possedimenti in Leventina e nelle valli ambrosiane di Riviera e di Blenio; nell’Undicesimo secolo, questo potente casato si schierò con il Sacro Romano Impero contro i canonici del Duomo di Milano, ma dopo la sconfitta di Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano, la Valle tornò sotto il controllo milanese, che di fatto tolse al casato la sua egemonia. Da notare inoltre che, sotto la signoria del capitolo di Milano, proprio a Giornico, si tenevano le sessioni supplementari di giustizia delle Tre valli.
Mappa di Giornico (2016).
Dunque, fin dal pieno Medioevo la cittadina di Giornico si trovava contesa tra Milano e la realtà germanica; il passo del San Gottardo era stato investito della massima importanza fin dal sorgere della Confederazione elvetica, tanto che fu oggetto di contesa tra Como e Milano da una parte e i Confederati dall’altra, già nel 1331. Tale conflitto si risolse con la Pace di Como, che indicava la Leventina quale zona di influenza urana fino al Piottino, e che garantiva il libero passaggio per il San Gottardo. In effetti, gli antefatti dello scontro rimandano al più ampio contesto delle
Campagne transalpine e della politica d'espansione nell'area ticinese perseguita dai Confederati. Durante tutto il XV secolo e lungo le vie di traffico, nel cuore delle Alpi, gli Svizzeri avevano difatti approfittato delle frequenti crisi del ducato di Milano per scendere nell’Ossola o nella valle del Ticino, e tentare di conquistare le cittadine di Domodossola e di Bellinzona, ritenute le porte meridionali dei passi alpini. Gli urani, che presiedevano il nord della via del San Gottardo, sapevano che per controllare veramente il passo bisognava possederne i due versanti ed erano dunque scesi a diverse riprese nella Leventina, riuscendo ad ottenere dei vantaggi commerciali con Milano. L'occasione per impossessarsi della Valle si presentò nel 1403, alla morte del duca Gian Galeazzo Visconti: alla susseguente crisi politica gli urani occuparono la Leventina e le imposero il loro protettorato, fino a Claro; il patto che strinsero con i leventinesi era in realtà un vincolo di subordinazione, con il quale erano i Cantoni ad inviare il podestà e a disporre della milizia. Con Filippo Maria Visconti, il Ducato di Milano riprese forza e richiese ai nuovi dominatori la città di Bellinzona; a una risposta negativa, a marzo del 1422, il Duca mandò in occupazione le truppe capeggiate da Francesco Carmagnola e la situazione portò alla
battaglia di Arbedo (29 giugno 1422) tra Confederati e milanesi per il possesso di Bellinzona. Le truppe confederate vennero costrette a ripiegare dal Carmagnola e i confederati persero tutto il Ticino, che tornò ai Visconti; tuttavia, nel 1424 i Leventinesi gli si ribellarono. Le continue controversie tra leventinesi e sudditi ducali, specialmente della Riviera, circa i beni situati nel territorio ducale (selve castanili, alpi, manutenzione delle vie di traffico) furono il pretesto per una nuova avventura al sud delle Alpi e, in effetti, la Leventina fu occupata nuovamente in modo stabile nel 1439; con la pace del 1441, fu poi riconosciuta in loro possesso. I rapporti con i milanesi si fecero dunque ancora più tesi e sorse una nuova causa del contendere: i boschi di castagno. I Leventinesi erano proprietari di numerose selve castanili nei territori di Iragna, Lodrino e Moleno, ma, con la cessione della Leventina al Canton Uri e lo spostamento del confine a sud di Personico, queste rimasero in territorio milanese; l’estrema difficoltà a provvedere alla raccolta delle castagne, ora in uno Stato straniero, privava i Leventinesi di un cibo indispensabile, tanto che alcuni storici indicano addirittura questo fatto come il motivo scatenante della battaglia dei Sassi Grossi, con il fatto peggiorativo del rifiuto da parte del duca di Milano di concedere il possesso della Leventina agli Urani, secondo quanto aveva invece concordato nel 1466. Quando il duca Gian Galeazzo Maria Sforza, nonostante il trattato di amicizia concluso con i Confederati nel 1467, si alleò con Carlo il Temerario (a sua volta impegnato contro i Confederati nelle
guerre di Borgogna), nel novembre del 1478 gli Urani attraversarono allora il passo del Gottardo e invasero la Leventina, venendo accolti come liberatori e dunque appoggiati militarmente dal popolo.
Gian Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, scolpito da Benedetto Briosco ad inizio 1490.
Gli Urani, ai quali nel frattempo si erano uniti gli altri sette cantoni confederati per tener fede al principio di solidarietà federale, scesero in campo precisamente il 30 novembre 1478: l’esercito svizzero forte di circa diecimila uomini mise sotto assedio Bellinzona, effettuò razzie e saccheggi nella campagna circostante, spingendosi fino alle porte di Locarno e di Lugano. Dal canto suo, il duca di Milano per difendersi dagli attacchi dei Confederati e porre fine ai disordini nella Leventina, inviò un esercito costituito da 8 mila uomini, con l’intento di punire i “montanari ribelli” e di proseguire fino al passo del San Gottardo per impedire ulteriori incursioni urane, raggiungendo infine la piana di Magadino il 16 dicembre. Dopo un assedio durato due settimane, e soprattutto vista la difficoltà di espugnare Bellinzona difesa da alte mura e potenti castelli, i Confederati decisero di togliere l’assedio e ripassare le Alpi, anche in considerazione delle forti nevicate che ostacolavano i collegamenti e il rifornimento dei viveri, lasciando una ridotta guarnigione di 175 uomini a difesa della Leventina; guarnigione rafforzata però da circa 400 Leventinesi, che si appostarono sul sentiero che da Bodio portava al terrazzo di Sobrio, nei pressi di
Giornico. Il loro intervento fu decisivo: mentre la neve ostacolava il movimento di uomini e di cavalli dell’esercito ducale, costretto ad avanzare nella valle stretta formando un’unica colonna, il manipolo leventinese ebbe l’indubbio vantaggio del fattore sorpresa, di conoscere il territorio e di essere attrezzato per muoversi sulla neve.
Stemma di Giornico.
Il 28 dicembre 1478 l'esercito milanese venne dunque colto di sorpresa dai leventinesi, i quali misero in fuga definitivamente il duca di Milano lanciando contro l’esercito tronchi d’albero e grandi sassi, creando non solo forte scompiglio nelle truppe ducali, ma rendendole impossibilitate a svolgere qualsiasi manovra bellica. La battaglia dei Sassi Grossi contò più di mille morti per quanto attiene l’esercito milanese, mentre i caduti leventinesi si attestarono a 50 uomini e oltre 60 feriti; i Confederati lamentarono invece solo 12 feriti d’arma da fuoco, poiché si trovavano lontani dalla mischia e ne restarono coinvolti solo marginalmente.
Chiesa dei Santi Innocenti a Pollegio.
Tutti i morti furono sepolti in fosse comuni e i Confederati, nel 1487, decisero di costruire a Pollegio la chiesetta dei Santi Martiri Innocenti in memoria del fatto d’armi. In effetti, i vincitori non vollero neppure lasciare asportare i cadaveri dei caduti e questo affinché i Bellinzonesi, che per molti anni offesero i Confederati, sapessero di dover celebrare l’anniversario della morte dei caduti. Su questo luogo di sepoltura, nel 1487, venne edificato un ossario e nel corso del 1600, prospiciente l’ossario (poi abbattuto nel corso del XIX secolo), venne edificata appunto la Chiesa dei Santi Martiri Innocenti, in ricordo del giorno in cui si svolse lo scontro. L’episodio è narrato nei martirologi cinquecenteschi conservati a Chironico, Mairengo e Quinto e recita così il Martirologio di quest’ultimo, al giorno 28 dicembre:
M.CCCC.LXXVIIII, inditione XIa die lune XXVIII Ia mensis decembris super die sanctorum Innocentium facta fuit maxima pugna per magnificos Dominos nostros Uranienses una cum illis de Suizio, de Zurico, de Lucerna et de Leventina super terretorium vicinantie de Zornico contra exercitum Ducis Mediolani et interfecti fuerunt centenaria XIIII de Lombardis. Et statutum fuit quod omni anno super suprascriptam diem Innocentium fiat specialis commemoratio pro suprascriptis defunctis.
Ossia: il giorno 11 di lunedì, 28 dicembre, giorno dei Santi Innocenti, fu combattuta una grande battaglia dai nostri magnifici Signori di Uri insieme a quelli di Svizzera, di Zurigo, di Lucerna e di Leventina, nel territorio del quartiere di Giornico contro l'esercito del Duca di Milano e quattrocento Longobardi furono trucidati. Ed è stato stabilito che ogni anno nel predetto Giorno degli Innocenti si svolga una speciale commemorazione dei suddetti defunti.
Monumento alla Battaglia di Giornico.
Il monumento, che raffigura il gesto del guerriero intento a smuovere il sasso da scagliare sul nemico, ha la paternità del noto scultore Apollonio Pessina di Ligornetto, e oggi spicca sul territorio di Giornico quale commemorazione tangibile della battaglia dei Sassi Grossi. Un progetto che dopo molte peripezie che ne tardarono l’esecuzione, venne scelto e premiato tra i trentacinque partecipanti al pubblico concorso del 7 gennaio 1929, venendo poi eseguito negli anni successivi ed infine inaugurato il 1° agosto del 1937.
Nel 1978, ricorrendo i 500 anni dalla battaglia, oltre al corteo storico e a molte altre manifestazioni, venne poi restaurata anche Casa Stanga, oggi Museo di Leventina, con un importante intervento di restauro e di ripristino.

Casa Stanga, Museo di Leventina a Giornico.
La battaglia di Giornico fu per Milano una grande sconfitta dopo la quale rinunciò alla Leventina, che passò di nuovo sotto il dominio urano conservando, comunque, Bellinzona. Con la Pace di Lucerna del 1480 e poi con il riconoscimento nel 1487 dei nuovi rapporti di potere da parte del capitolo del duomo di Milano, il ducato rinunciò infine ad ogni pretesa sulla valle Leventina, che passò sotto il controllo urano e vi rimase fino al termine dell’Antico Regime (1798). I fatti di questo scontro furono narrati, tra gli altri, anche dal politico, pedagogista e poi Consigliere federale ticinese Stefano Franscini nella sua "La Svizzera italiana” (il primo tomo edito nel 1837, i successivi due nel 1840) con queste parole:
Ripassarono il Gottardo lasciando in Leventina alcuna compagnia d'uomini di Svitto, Zurigo, Lucerna ed Uri, e le milizie della valle, gli Svizzeri, sotto gli ordini di Troger capitano d'Urania, i Leventini, sotto quelli del capitano Stanga di Giornico. Il conte Torello aveva ricevuti rinforzi e l'espresso comandamento di cacciar gli Svizzeri anche dalla Leventina. Tolte seco più di quindici migliaia di soldati, con grande seguito di cavalli e cannoni, avanzandosi verso il ponte di Biasca. Quindi se gli fece incontro un corpo di Leventini, che non per altro l'affrontarono, se non per condurlo nel piano tra Bodio e Giornico, dove il loro capitano Stanga ogni cosa aveva predisposto a render fatale la giornata a' ducheschi. Allagata era la pianura nell'aspettazione che l'aspro freddo della notte la convertisse in un campo di ghiaccio; e pronta era sulle alture gente che dirupar ne dovea innumerevoli e grossi macigni. Tutto andò a meraviglia. Poche centinaia di Svizzeri e Leventini disfecero quel formidabile esercito di nemici, uccidendogli, chi dice 1400 chi 4000 uomini, pigliando gli cannoni e una grandissima quantità d'altre armi e copia di vittovaglie, inseguendolo sino nella Riviera e facendogli un gran numero di prigionieri. Questa è la battaglia di Giornico, data alli sassi grossi il giorno degl'Innocenti del 1478: guadagnaronla cogli Svizzeri lo Stanga e i suoi Leventini. Lo Stanga carico di ferite, spirò nel riporre il piede nella propria casa, di ritorno dalla battaglia. Di quella vittoria si sparse il grido per tutta Italia; una, come vuole spesso la capricciosa fortuna, degli oscuri Leventini non si parlò, e tutta Italia tremò al nome Svizzero. Tra il terrore di quella sconfitta i Lombardi bramarono la pace, e per introdotto di Luigi XI di Francia fu conchiusa a gran vantaggio degli Svizzeri (1479). Misero a 100.000 ducati il prezzo del ritirarsi, a 24.000 fiorini la spesa dell'armamento: a questa condizione furon rinnovati i trattati, e confermata ad Uri la signoria sulla Leventina, a cui era dovuta in molta parte la insigne vittoria. Tale è la sorte di chi pugna non per suo ma per altrui conto.