Di videogiochi dove si deve rubare e scappare ce ne sono tanti. Ma questo è diverso, è anche una provocazione e uno spunto di riflessione.
Si intitola Relooted, la casa produttrice è sudafricana e la trama di gioco è piuttosto originale: il giocatore comanda una banda di “ladri etici”, di varie nazionalità africane. Gli scenari di gioco sono musei in stile europeo, di fantasia, non reali. L’obiettivo delle missioni: recuperare opere d’arte e d’artigianato africane, oggetti etnici o usati per i culti, pezzi custoditi in occidente, arrivati lì durante il colonialismo. Alla fine, il giocatore deve restituire il tutto ai paesi d’origine.

W il furto etico!
RSI Cultura 17.10.2025, 15:00
La grossa difficoltà nel creare il gioco, ha raccontato Ben Myres, direttore creativo della casa produttrice Nyamakop, è stata quella di restringere il numero di oggetti da recuperare. Delle decine e decine di migliaia di pezzi d’arte giunti in Europa durante il colonialismo, nel videogioco se ne possono “rubare” solo 70. Però sono oggetti davvero esistenti. Per esempio, c’è un tamburo dal Kenya che si credeva perduto dalla fine dell’Ottocento. A riconoscerlo, al British Museum di Londra, è stato un discendente del Re keniota a cui era stato sottratto.
Ma usciamo dal videogioco e torniamo nel mondo vero. Nella realtà, un ladro attivista nello stile di Relooted esiste davvero. Si chiama Mwazulu Diyabanza, congolese, è un attivista. Le sue azioni si svolgono nei musei europei e sono dei veri e propri furti, o “furti etici”, per il decolonizzare le esposizioni. In pratica, questo moderno Robin Hood cerca di riprendersi i manufatti sottratti durante l’epoca coloniale.

Le sue azioni, sempre a volto scoperto, sono molto forti e provocatorie, filmate e diffuse in diretta sui social. La polizia lo ferma sempre e l’arresta, ma lui non smette mai di parlare in camera e spiegare il suo gesto.
Ho dovuto pagare con i miei soldi per vedere ciò che è stato preso con la forza, un patrimonio che appartiene al mio paese d’origine: in quel momento, ho preso la decisione di mobilitarmi.
Mwazulu Diyabanza, da un’intervista al New York Times
Nei suoi discorsi video spesso critica con veemenza Emmanuel Macron. Il Presidente francese, nel 2017, durante uno storico e lungo discorso in Burkina Faso, aveva annunciato una svolta storica: «Non posso accettare che gran parte del patrimonio culturale di diversi paesi africani sia in Francia. Il patrimonio africano non può essere solo in collezioni private e nei musei europei».
Da allora, dalla Francia, una lenta restituzione è cominciata, ma i pezzi tornati davvero in Patria, in Africa, sono poche decine. Quelli recensiti da uno studio ufficiale francese sono 90.000!
Insomma, la strada per la decolonizzazione dei musei occidentali è ancora lunghissima e complicata. E sarà piena di ostacoli e imprevisti, peggio di un videogame.

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