Curiosità e trend

ACQUOLINA, il cibo dalla A alla Z: G come “gelato”

Il glossario di curiosità gastronomiche

  • 17 luglio 2023, 22:09
Gelato
  • ©iStock
Di: Anna Marlena Buscemi

ACQUOLINA è un piccolo compendio di curiosità gastronomiche, raccontate dalla A alla Z in ordine sparso, per scoprire l’origine dei piatti, le parole e i modi di dire inerenti al cibo; con ACQUOLINA, Anna Marlena Buscemi, gastronoma ed educatrice, svelerà come funzionano i nostri sensi e nascono le nostre abitudini alimentari ogni volta che siamo coinvolti nell’atto del mangiare.
Continuano le lettere e con loro anche le parole gastronomiche.
Oggi, in piena estate e con il caldo sempre più invadente, procediamo con la lettera G, come “gelato”: il suo potere evocativo è indiscutibile e riconoscibile da ognuno di noi, ma quale storia antica si nasconde nel puro piacere fanciullesco tipico dell’intramontabile grande classico conosciuto in tutto il mondo?
Tra le tante curiosità, vi anticipiamo già che è uno svizzero il padre del gelato artigianale moderno…

G come Gelato
/ge-là-to/
sostantivo maschile invariabile

  1. Termine intraducibile al pari di Sushi, Ceviche, Champagne, Pizza, Ramen, etc.

  2. Da non confondere con altri cibi che escono dal congelatore, che prendono il nome di surgelati / congelati / prodotti gelato.

  3. Non è sinonimo di icecream, né di crème glacée.

  4. Anche se dovrebbe, non è scontato sia prodotto artigianalmente.

Come spesso accade in campo gastronomico, il cibo è la risultante di molteplici fattori che si sono manifestati e incrociati nel corso della storia, motivo per cui una specialità culinaria la si vede nascere in un modo, per poi trasformarsi più volte prima di assomigliare al prodotto che conosciamo oggi. E il gelato non fa eccezione.

Gelato: in principio fu il sorbetto, passando da Oriente

Sicuramente il suo antenato più lontano altro non era che neve, fresca o ghiacciata, condita con uno o più frutti. Prima di immaginarci preistoriche coppette di neve candida e soffice variegata con colorate composte di frutta, dobbiamo considerare che né le condizioni climatiche né le conoscenze tecniche avrebbero potuto rendere possibile questa visione: non solo perché il clima più rigido rendeva la scelta di un cibo a basse temperature meno desiderabile, ma anche motivata dal fatto che l’idea di “dolce” era completamente diversa rispetto a quella attuale: la natura selvaggia forniva prodotti dai sapori più aspri e l’idea di aggiungere zuccheri per aumentarne la piacevolezza arrivò molto più tardi nella testa dei nostri antenati.
Nonostante prove storiche testimonino che queste nevi “condite” venissero preparate in varie parti del mondo e da popoli geograficamente e culturalmente distanti – Egizi, Aztechi, Greci, Antichi Romani, etc.– è assodato che alcuni luoghi furono senz'altro più cruciali di altri nel determinare la sua evoluzione, facendolo diventare prima sorbetto e infine gelato in senso moderno.
In particolare, laddove erano concentrate una grande disponibilità delle materie prime utili a produrli, unita a una forte commistione tra le conoscenze e le tecniche già presenti sul territorio e arricchite nei secoli dal considerevole flusso di genti di provenienze diverse.

La Sicilia è il luogo che, tra tutti, partì avvantaggiato, non in ultimo per la posizione che occupa nel Mar Mediterraneo: tappa o meta che fosse, vi si potevano trovare contemporaneamente sia la frutta, sia la neve, sia i saperi, importati da tutti i popoli che vi sono transitati e che hanno arricchito ulteriormente il suo già denso bagaglio culinario e culturale, fino all’inizio del ‘900, quando anche la Svizzera segnò un passaggio cruciale nella codifica più moderna dell’intero settore dolciario siciliano, gelato compreso.
Questo non esclude che anche altri fattori e personaggi abbiano contribuito a scriverne paragrafi decisivi, anche al di fuori dei confini italici, colorandosi di elementi e aneddoti, a cavallo tra leggenda e realtà, attraverso i tempi, i paesi, i palazzi reali, le mode, le strade, le piazze e altresì le classi sociali.

Diventa così difficile tracciarne dei contorni netti e definiti, piuttosto certo è che il primo grande passo fu compiuto nel Medioevo, in Oriente quando si scoprì come congelare direttamente il succo di frutta, ponendo il recipiente che lo conteneva in un tino colmo di ghiaccio e salnitro (anche conosciuto come nitrato di potassio o sale di potassio); questo permise di promuovere la frutta da condimento a ingrediente principale: i colori e i sapori si fanno più intensi, saturi e, pertanto, peccaminosi! Tanto che furono banditi dalle mense cristiane medievali, sebbene fossero stati proprio i Crociati a farli conoscere in Europa, al ritorno dalle spedizioni in Terra Santa, dove tra una battaglia e l’altra, avevano avuto modo di deliziarsi con raffinati sorbetti a base di agrumi, gelsi, fiori ed erbe aromatiche.
Il consumo non cessò mai completamente e fu portato avanti nei territori dove la dominazione araba aveva reso più blanda la severa imposizione alimentare della Chiesa e più familiari la preparazione e il consumo dei sorbetti.

L’origine incerta della stessa parola “sorbetto” – che potrebbe originare sia dal latino (sorbire) sia dall’arabo scherbet (dolce) o dalla reciproca influenza – ci suggerisce che fossero comunque già conosciuti, diffusi e consumati in qualsiasi luogo in cui era stato necessario coniare o adottare un termine per definirli.
Quando le spedizioni coloniali implementarono le tavole aristocratiche con nuovi ingredienti e spezie, anche i sorbetti diventarono ancora più ricchi e opulenti e pare, ma di questo non si hanno notizie fondate, che il loro vero successo partì da Firenze per approdare prima a Parigi e poi in tutte le altre corti del Nord Europa, per mediazione della famigerata Caterina de’ Medici, dea ex machina di molte vicende gastronomiche, soprattutto di quelle un po' nebulose avvenute nella sua epoca di cui si trovano pochi riscontri. In questo caso, si può asserire che il suo contributo aiutò nell’incentivarne i consumi nei salotti più esclusivi, rendendolo un prodotto desiderabile e di prestigio grazie a ciò che lei rappresentava sia come regina di Francia e sia come casato, riconosciuto tra i più illuminati e invidiabili di inizio Rinascimento.

Tre notizie certe sull’origine del gelato e l’evoluzione che non vede confini
Al di là del gossip gastronomico, sono tre le notizie certe:

  • la prima è che fu il poliedrico fiorentino Bernardo Buontalenti, nel Cinquecento, a pensare di introdurre le proteine, sottoforma di uova e latte, nella ricetta dei sorbetti, determinando a tutti gli effetti l’invenzione del gelato cremoso in senso moderno;

  • la seconda è che il Cafè Procope di Parigi sia stato la prima cremeria d’Europa, nata nel 1686 per iniziativa del siciliano Francesco Procopio de Coltelli, con licenza specifica dedicata esplicitamente al consumo (da seduti) di granite, sorbetti, e gelati;

  • la terza è che l’industrializzazione fu determinante per generare il futuro del gelato. A partire dalla produzione dello zucchero da barbabietola – che andò a sostituire il miele utilizzato fino ad allora – fino alla scoperta del freddo artificiale che ne avrebbe modificato il gusto, la sua struttura e in definitiva il prezzo di vendita.

Da questo momento in poi, il progresso galoppa e fa da propulsore ad una serie di altre invenzioni che spingono il gelato, oltre lo stile dei confini italiani, superando gli oceani e assumendo altre forme e caratteristiche: nel 1851, a Baltimora, nasce l’icecream; nel 1896 viene inventato il cono di cialda e nel 1903 le macchine per produrli in serie.
Nel frattempo, la letteratura gastronomica dedica sempre più spazio ai metodi e ricette per produrre il gelato, sia per gli amatori che per i professionisti, delineando stili e mestieri: il gelato si distingue dall’icecream e il “gelatiere” dal gelataio.

E se vi dicessimo che il padre del gelato artigianale è svizzero? Il gelato è uno di quei grandi classici del mondo culinario che dimostra, ancora una volta, come la cultura gastronomica sia dinamica e frutto di una vivace interazione di menti e discipline che vanno al di là dei confini geografici, di cui spesso si rimane prigionieri invece che cavalieri. A inizio Novecento, infatti, furono i flussi migratori da e per l’Italia a incoraggiare lo scambio delle idee e delle tecniche, determinando un’ulteriore evoluzione: fu così che
nel 1931, Otello Cattabriga riuscì a realizzare il primo mantecatore elettrico,
ispirandosi all’invenzione della casalinga americana Nancy Johnson che, un secolo prima, pensò di inserire una manovella e un coltello rotante all’interno del recipiente in cui era contenuta la miscela da trasformare in gelato, in modo tale da poter rendere più pratico e veloce il procedimento.
Per la stessa dinamica, furono proprio due stranieri a dare lustro al modo italiano di fare il gelato: il francese Auguste Escoffier nel riconoscere al gelato meritevole di un posto nei menù con pari dignità di un dessert e l’Italia come “culla dell’arte del gelato”, e
lo svizzero Luca Caviezel nel costruire l’identità dello stile italiano, definendone le caratteristiche fondanti, nonché approfondendo i concetti di ricettazione e bilanciamento degli ingredienti con una precisione e una profondità mai adottate prima e
meritando, per questo, l’appellativo di Maestro della gelateria moderna artigianale italiana. Erede di una famiglia di pasticceri grigionesi, Caviezel è nato a Coira per poi trasferirsi a Catania.

Cantone mediterraneo - Il musicista del gelato

RSI/Gilberto Mastromatteo 23.05.2021, 07:45

Sorbetto, gelato, icecream, crème glacée: facciamo chiarezza e impariamo a riconoscerli

Quanto detto sin qui, ci aiuta a fissare i punti cardinali del gelato e a capire perché, di fatto, debba restare una parola non traducibile – al pari di “pizza”, “ramen”, “ceviche” – in quanto racchiude in sé una vera e propria filosofia che non si limita al significato figurativo: oggi rispetto a ieri, non è più sufficiente congelare frullati di frutta o montare panna fresca addizionata di cacao o altro per ottenere un gelato, ma è richiesta una competenza più specifica che va dal sapere bilanciare gli ingredienti al conoscere la funzione che ognuno di essi svolge all’interno della miscela o, ancora, come lavorare e conservare il prodotto al fine di garantire sapori e consistenze con caratteristiche distinte e riconoscibili dal punto di vista tecnico quanto organolettico.
Il gelatiere (colui che sa gestire il gelato dalla selezione al bilanciamento degli ingredienti, dalla produzione al servizio) a differenza del gelataio (colui impiegato esclusivamente al servizio del gelato) – deve possedere tutte queste conoscenze per definirsi tale; allo stesso tempo, un consumatore dovrebbe essere messo nella condizione di avere sufficienti elementi per distinguere un gelato da un icecream o da una crème glacée, in modo tale che al momento della scelta, qualunque essa sia, possa essere il più consapevole possibile, non influenzato dalle mode o da informazioni sibilline e fuorvianti.

Nel tentativo di fare un po’ di chiarezza in questo ginepraio spazio-temporale, è bene sapere che:

  • attualmente i gelati sono classificati in granite (composte da acqua, zucchero e ingrediente caratterizzante), sorbetti (composti da acqua, zucchero, ingrediente caratterizzante, addensanti e/o emulsionanti), gelati (composti da: grassi e proteine derivanti da latte/panna/uova, zuccheri diversi, ingrediente/i caratterizzante/i, addensanti, emulsionanti, stabilizzanti).

  • Non bisogna spaventarsi nel leggere parole strane come “emulsionanti” o “stabilizzanti”: dipende molto da come sono prodotte, selezionate e utilizzate – le lecitine come le pectine, possono essere prodotte il laboratorio, ma sono naturalmente contenute in alcuni cibi come: le uova, la soia, le mele, gli agrumi, la carruba e il guar –. Non è la chimica che ci deve allarmare, piuttosto il come, quando e perché essa viene applicata.

  • Un gelato differisce da un icecream per vari fattori, i principali sono:
    - il contenuto di grassi (gelato < 8% - ice cream > 10%);
    - il contenuto di aria: è minore nel gelato dove viene naturalmente inglobata durate la fase di mantecatura e maggiore nell’ice cream dove viene insufflata forzatamente. Infatti, il secondo è più voluminoso anche se pesa meno;
    - la temperatura di conservazione: -12/-14°C per il gelato, -18°C per l’ice cream, pertanto il secondo si presta meglio ad essere conservato nei nostri freezer, mentre il primo subirà dei danni da freddo, per cui è consigliabile consumarlo dopo l’acquisto – non perché sia pericoloso, ma perché perde piacevolezza per la formazione dei cristalli di ghiaccio –.

  • Un gelato può definirsi tale se viene prodotto in presenza di raffreddamento in contemporanea all’azione di inglobare aria per movimento meccanico, di conseguenza se, ad esempio, congelo un frullato di frutta, ottengo un frullato di frutta congelato e non un gelato; se congelo uno yogurt o qualsiasi altro ingrediente ottengo un prodotto congelato e non un gelato e così via.
    Se invece monto della panna fredda con un ingrediente caratterizzante – ad esempio: pasta di nocciola o fragole frullate – ottengo una crème glacèe e non un gelato.
    In pratica, sarebbe come definire “pizza” un panino al pomodoro!

  • Un buon gelato, come tutti i cibi di qualità, non contiene tanti ingredienti, se la lista è eccessivamente lunga, facciamoci delle domande e, se non sappiamo rispondere, giriamole al gelatiere di fiducia.

E, dato che sette minuti sono il tempo medio stimato in cui si consuma un gelato, in cono o in coppetta, correte a mangiarvene uno, con la G maiuscola, affinché in questa giornata possiate godere di almeno 7 minuti di pura spensieratezza!

Fonti:
L. Caviezel, Scienza e tecnologia di sorbetti, granite e dintorni, Chiriotti Editore, 2002
L. Caviezel, Dizionario di scienza e tecnologia del gelato artigianale, Chiriotti Editore, 2006
L. Caviezel, Scienza e tecnologia del gelato artigianale, Chiriotti Editore, 2016
A. Escoffier, Guida alla cucina. Promemoria per cucinare ad arte, Giunti Editore, 2020
AA. VV., Avanguardia gelato, Italian Gourmet, 2016
R. Lobrano, Il mondo del gelato. Storia, scienza, produzione, degustazione, Slow Food Editore, 2018

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