Curiosità e trend

ACQUOLINA, il cibo dalla A alla Z: U come umami

Il glossario di curiosità gastronomiche

  • 7 maggio 2023, 16:15
Salsa copertina Umami
  • ©iStock
Di: Anna Marlena Buscemi

ACQUOLINA è un piccolo compendio di curiosità gastronomiche - raccontate dalla A alla Z in ordine sparso - per scoprire l’origine di piatti, le parole e i modi di dire inerenti al cibo; con ACQUOLINA, Anna Marlena Buscemi, gastronoma ed educatrice, svelerà come funzionano i nostri sensi e nascono le nostre abitudini alimentari ogni volta che siamo coinvolti nell’atto del mangiare.
Continuano le lettere e con loro anche le parole gastronomiche. Oggi procediamo con la lettera U, come Umami, uno dei 5 gusti fondamentali… lo sapevate?

U come Umami
/u-mà-mi/
n.m. invar.

  1. Termine giapponese che deriva dalla parola “umai”, traducibile in italiano letteralmente con saporito, sapido, delizioso, che corrisponde a una sensazione gustativa.

  2. In campo fisiologico e gastronomico si riferisce a uno dei 5 gusti fondamentali, insieme ai più conosciuti dolce, amaro, aspro e salato. È l’ultimo ammesso, in ordine cronologico, tra i sapori primari: ossia quelli che l’uomo è in grado di percepire in modo indipendente e che, a differenza di tutti gli altri gusti esistenti (non fondamentali), non sono la risultante delle loro possibili e/o infinite combinazioni.

  3. In chimica è identificato come l’effetto che producono tre molecole: l’acido glutammico, l’inosina e la guanosina. Questi ultimi sono sinergizzanti del primo, cioè, se uno o entrambi sono presenti contemporaneamente in una preparazione culinaria, la percezione del gusto umami risulta amplificata.

  4. Sapore rintracciabile in tutti i cibi di origine sia animale sia vegetale, che ne sono naturalmente provvisti, in cui le proteine vengono scisse per opera di enzimi tramite cottura, fermentazione o stagionatura, come ad esempio: salumi, formaggi stagionati, salsa di soia, pomodoro maturo o cotto, funghi, pesce conservato, alghe commestibili, brodi, ma anche vegetali come aglio, cipolla, piselli, asparagi, spinaci, ceci, etc.

  5. Sensazione organolettica utilizzata come espediente dai produttori di cibo (industria alimentare in primis) sia per esaltare i sapori sia per nasconderne i difetti.

Quando spiego quali sono i 5 gusti fondamentali lascio che siano le persone del pubblico a elencarli: studenti o amatori che siano, sui classici e noti quattro - dolce, amaro, aspro, salato - procedono lesti e senza troppi intoppi; arrivati al quinto invece si rallenta vistosamente e i nomi vengono buttati un po’ a caso: “piccante”, “acido”, “astringente” sono gli aggettivi che escono con maggiore frequenza, i più audaci si spingono in terreni inesplorati, pronunciando parole in altre lingue o creando fantasiosi neologismi. Raramente arriviamo alla soluzione, così comincio a fornire indizi in forma ludica: inizia con la “u”, è di origine nipponica, fa rima con origami e via così, finché non arriviamo a svelare l’arcano.
In tale modo, tra una risata e una scommessa, è molto più probabile che si ricorderanno di una parola che suona esotica per quanto sia poco familiare, come poco familiare ci è il sapore a cui fa riferimento.
Eppure, è uno dei primi gusti con cui veniamo a contatto, considerando che non solo è quello più caratterizzante del latte materno, ma è già presente in piccole quantità anche nel liquido amniotico, mentre ci sviluppiamo in attesa di nascere e crescere nel mondo che ci attende fuori.
A questo punto vi chiederete: perché non è stato tradotto o non è stato coniato un nome ad hoc più facile da ricordare?
In realtà ci hanno provato, ma i tentativi hanno generato più confusione che beneficio: “saporito”, così come “delizioso”, risultavano fuorvianti e svilenti nei confronti degli altri sapori; “sapido”, invece, veniva spesso associato al salato oppure al minerale; nemmeno la pragmatica lingua inglese ha trovato un’alternativa valida, dal momento che nel definirlo “glutamate taste” non perdeva solo fascino, ma anche un bel po’ di significato: se assaggiato in purezza, infatti, il sale sodico che compone il glutammato non provoca nessun urletto di piacere, né esprime tutta la complessità che ci si aspetta, proprio perché la sua azione è sinergica rispetto agli altri gusti, esattamente come il sale o lo zucchero, se dosati con saggezza. Non a caso l’umami è la nota tipica dei dadi, nonché dei brodi, dei fondi, delle bisque, che si ottengono per estrazione da carne, pesce, molluschi o vegetali; oppure in laboratorio, come accade anche per molti additivi di sintesi, come gli aromi, comunemente usati a scopo alimentare.

L’umami, scoperto nel 1908 in Giappone grazie all’alga kombu

Quindi, per quanto vi possa risultare difficile richiamare alla vostra memoria gastronomica l’umami e ricostruirne il sapore tra le vostre fauci, se almeno una volta nella vostra vita avete mangiato un risotto, una polenta ai formaggi, una fetta di salame, una pizza margherita, del sushi, altresì sgranocchiato delle chips durante un aperitivo o guardando un film, siete nella condizione di sapere vagamente di cosa si tratta.
Ciononostante, l’umami rimane il gusto più incompreso, almeno quanto lo fu per Kikuane Ikeda, il chimico che nel 1908 individuò il composto responsabile del suo sapore distintivo e distinto dai 4 gusti codificati fino a quell’epoca, andandolo a scovare nell’ingrediente che più caratterizzava la saporita zuppa che gli suggerì l’intuizione, ovvero l’alga kombu. Malgrado la scoperta sia stata importante e oggetto di pubblicazioni scientifiche in Giappone, fu rispolverata e presa in considerazione soltanto un secolo dopo, quando si indentificarono i recettori specifici per il glutammato.
Prima di allora, molti avevano ipotizzato la sua esistenza per mera deduzione empirica, ma senza riuscire a definirne i contorni aromatici per mancanza di strumenti e conoscenze che ne potessero dimostrare l’esistenza. Per quanto, da tempi ben più remoti, si avesse già la consapevolezza che alcuni cibi e condimenti avessero la capacità di esaltare i sapori e rendere più succulente le preparazioni culinarie – dal garum dell’Antica Roma al ketchup, passando per il kimchi coreano, la salsa di soia e tutte le altre salse di accompagnamento, da Oriente a Occidente – dimostra come l’essere umano abbia intercettato nel corso dei secoli la capacità di alcuni ingredienti di amplificare la percezione dei gusti.
Ancora oggi non abbiamo perso questa abilità, tanto che ci accorgiamo di quanto il formaggio fuso e i crostini di pane possano rendere una zuppa di cipolla da anonima a indimenticabile, così come apprezziamo con piacere la complessità aromatica che la cottura in brodo di carne e l’aggiunta degli champignon regalano allo sminuzzato alla zurighese, indipendentemente da quanto ne sappiamo di chimica o fisiologia.

Umami, un alleato delle diete?

È utile sapere che la percezione dell’umami, rispetto agli altri quattro gusti fondamentali, non dipende esclusivamente da fattori genetici, ma anche dalla frequenza con cui lo si consuma: in pratica, meno lo includiamo nella nostra alimentazione quotidiana, meno saremo in grado di riconoscerlo quando lo incontreremo nei nostri assaggi, perdendone tutti i suoi benefici.
Innumerevoli studi hanno dimostrato infatti che il quinto gusto fondamentale è in grado di stimolare molte funzioni fisiologiche, tra le quali appetito e senso di sazietà: nei soggetti insensibili nel rilevarne la presenza è connessa una graduale perdita di voglia di mangiare, che nel tempo provoca l’indebolimento sia del fisico sia delle attività celebrali; questo si verifica soprattutto nelle persone anziane. Pertanto, non si esclude che possa esserci un collegamento tra il basso livello di percezione dell’umami e lo sviluppo di alcune forme di demenza senile.
Inoltre, una ricerca a opera del Beth Israel Deaconess Medical Center, pubblicata su Neuropsychopharmacology, ha evidenziato come l’abitudine di molte culture di cominciare il pasto sorseggiando un brodo, ricco di “umamità”, possa costituire un valido aiuto per quietare il senso di fame, aumentare quello di sazietà e stimolare comportamenti alimentari sani, rivelandosi così un ottimo alleato nelle diete, non solo dimagranti.

Gli studi degli chef Blumenthal e Cannavacciuolo sull’umami

Capite ora quanto sia più vezzo che necessità escludere cipolle e aglio dalla nostra alimentazione – come accade sempre più spesso nelle preparazioni dentro e fuori casa – senza trovarne una degna sostituzione con pari requisiti aromatici in caso di intolleranze o difficoltà digestive? Qualche chef più illuminato, però, si dedica alla ricerca di nuovi ingredienti e abbinamenti che posseggano pari caratteristiche.
Due su tutti, sono tristellati Michelin: l’inglese Heston Blumenthal e l’italiano Antonino Canavacciuolo. Il primo ha portato avanti uno studio sull’apporto umami rintracciabile sia tra le differenti varietà di pomodoro sia in sezioni diverse dello stesso pomodoro, per arrivare a scoprire che la zona più sapida di esso non è concentrata nella polpa del sotto-buccia, ma in quella che si trova intorno ai semi, ovvero la parte che viene scartata con maggiore frequenza. Il secondo, invece, utilizza vari escamotage per arricchire i suoi sughi e i suoi piatti di umami: la pomata di aglio per gli spaghetti, l’infuso di olio evo e aglio rosa per il ragù e la colatura di alici per mantecare paste, risotti o rafforzare salse e condimenti.

Quando l’umami è usato per “nascondere"

Certo non bisogna dimenticare che, come di tutte le cose, ne possiamo fare un uso saggio quanto scellerato; e il glutammato (e tutti i composti a esso collegato) non fa eccezione: se per alcuni è un modo per accentuare e valorizzare prodotti eccellenti, per altri può essere il trucco per nascondere o dissimulare i difetti di materie prime di qualità discutibili.
E se l’etichetta non è sempre uno strumento esaustivo per smascherarne gli intenti sottesi, possiamo sempre affidarci ai nostri sensi, purché allenati, ricordando che nella maggior parte dei casi non è solo la dose a fare il veleno, ma soprattutto l’intenzione di chi prepara o produce a sancire il buono o cattivo impiego di un ingrediente, o di qualsiasi altro oggetto: glutammato, coltello o penna che sia!

Fonti:
M. Marconi, Educazione sensoriale, Slow Food editore, 2011
A. Holley, Il cervello goloso. Bollati Boringhieri, 2009
M.G. Shepherd, All’origine del gusto, Codice, 2019

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