Oggi, 22 aprile, è la Giornata mondiale della Terra e il tema per questo 2024 è “Planet vs Plastics’”. La Svizzera ogni anno consuma 1 milione di tonnellate di plastica e circa 14 mila tonnellate finiscono nell’ambiente, ma sono moltissimi i ricercatori e le aziende svizzere impegnate nello sviluppo di materiali intelligenti che permettono di ridurre l’uso della plastica a sostegno di un’economia circolare che riutilizza gli scarti provenienti da produzioni alimentari.
Quale bioplastica, però, è realmente biodegradabile? E come smaltirle?
Plastica e bioplastica, quali sono le differenze?
Un bicchiere di plastica non può decoporsi, al massimo ridursi in piccolissimi pezzi nell’ambiente, mentre un bicchiere derivante da bioplastica, nella natura e alle giuste condizioni, sì, e la causa dipende dalla struttura chimica dei due materiali.
La plastica è composta da lunghe catene di molecole, chiamate polimeri. Queste sostanze sono prodotte industrialmente a partire dal petrolio. Se la plastica finisce nella natura, non riesce a decomporsi a causa della sua struttura: le catene di molecole artificiali non possono essere accorciate e i microbi presenti nell’ambiente non sono in grado di assorbirle e decomporle.
La bioplastica, invece, è anch’essa composta da molecole a catena lunga, ma con una struttura leggermente diversa, ed è questa la differenza cruciale: i microbi producono enzimi che grazie a questa struttura possono agganciarsi alla bioplastica e, con l’aiuto di acqua e calore, riescono a rompere le molecole a catena lunga, riducendola sempre di più, fino ad essere ridotta in piccoli pezzi che possono essere mangiati e decomposti dai microbi.
Gli scarti dell’industria alimentare per la produzione di di packaging
Oggi, se gli imballaggi compostabili sono una realtà consolidata, una nuova frontiera percorribile e oggetto di continue ricerche congiunte di designer e biologi è quella dei packaging derivati dagli scarti alimentari. Si tratta nello specifico di sperimentazioni di bioplastiche che combinano non solo materie prime rinnovabili e di origine vegetale come amido e cellulosa, ma veri e propri ingredienti alimentari di scarto.
In Svizzera sono numerose le start-up che si impegnano nello sviluppo di questi materiali cosiddetti “intelligenti” che permettono di ridurre l’uso della plastica e sostenere un’economia circolare.
Vanillina con gusci di nocciole
La start-up svizzera Bloom Biorenewables ha sviluppato una tecnologia che consente sfruttare la biomassa, invece del petrolio, per produrre diversi materiali.
Con i noccioli delle ciliegie o i gusci di noci riesce produrre bioplastica e anche aromi per l’industria alimentare
Bioplastica da fare invidia al nylon
La Scuola Politecnica Federale di Losanna ha sviluppato un nuovo metodo per creare poliammidi (una classe di materie plastiche resistenti e durevoli) usando un nucleo di zucchero derivato da scarti agricoli come legno o pannocchie di mais.
Bottiglie fatte con le alghe
Le bottiglie a base di alghe sono fatte con acqua e agar (un sottoprodotto della lavorazione dell’alga rossa) e sono state ideate da uno studente islandese, sono naturalmente biodegradabili e potenzialmente commestibili.
In Svizzera la start up Noriware mira a sostituire la plastica con un materiale a base di alghe.
Imballaggi per alimenti dallo scarto di lavorazione della birra
I ricercatori dell’Empa, laboratorio svizzero di ricerca e test sui materiali, sono riusciti a trasformare i residui del processo di fabbricazione della birra in aerogel, un materiale poroso con proprietà di isolamento termico.
Riutilizzare gli scarti della lavorazione della birra
Telegiornale 06.03.2024, 20:00
C’è bioplastica e bioplastica: perché alcune non sono amiche dell’ambiente?
Si possono fare molti altri esempi, in questo, di bioplastiche prodotte da scarti alimentari vegetali, ma per sapere se effettivamente sono di aiuto all’ambiente è determinante conoscerne l’origine.
Spesso le bioplastiche sono prodotte a partire dalle piante, per lo più mais o soia. Materie prime che potrebbero benissimo essere mangiate, ma se si ottiene la bioplastica dall’amido di mais - da un alimento quindi - questo porta a un cattivo ecobilancio, rendendo questa bioplastica non sostenibile. Se, però, si produce partendo dalla parte della pianta che non può essere mangiata, è molto meglio, anche se più complesso. Ecco perché scarti naturali come gusci di noci, o pula, per esempio, sono prodotti utilizzabili per una bioplastica sostenibile.
Per il consumatore, però, riconoscere queste bioplastiche non è affare semplice. Con Urs Baier, biotecnologo ambientale, si cerca di fare chiarezza e si approfondisce la tematica.
La bioplastica
Servizi 12.05.2021, 15:36