Da un decennio, la Valposchiavo lavora a un progetto ambizioso: riportare il grano sui campi di montagna. In questi luoghi la coltura del grano tenero era di casa, ma dagli anni ‘60, a causa dell’importazione del grano dall’estero, è scomparsa.
A 1000 metri di altitudine, in un paesaggio quasi dimenticato, oggi, i campi sono tornati ad accogliere diverse specie di cereali grazie a 21 agricoltori della Cooperativa Campicoltura Valposchiavo. «All’inizio è stato molto complicato”, racconta al Quotidiano Reto Raselli, co-fondatore “abbiamo comprato macchinari, sperimentato sementi, affrontato le sfide del biologico e delle erbacce. Ma con gli anni abbiamo imparato bene.»
In Valposchiavo si coltivano grano saraceno, orzo, segale, farro, mais, avena, spelta, frumento
Da esperimento a realtà consolidata
Da esperimento, il progetto si è trasformato in una realtà consolidata. La cooperativa, infatti, oggi produce diversi di prodotti: dalle farine alle granaglie, fino agli spaghetti di montagna. «L’idea degli spaghetti è nata per valorizzare il nostro grano biologico», spiega Silvio Rossi, Presidente Cooperativa Campicoltura Valposchiavo, «non produciamo grandi quantità, ma offriamo una gamma di prodotti unici.»
I cereali senza glutine vengono ancora macinati a pietra nel secolare mulino di San Carlo. Farro e frumento, invece, vengono lavorati nel mulino Scartazzini di Promontogno, in Bregaglia.
I consumatori apprezzano sempre più i grani biologici e locali. Credo che il futuro sia orientato verso queste farine antiche, coltivate nelle nostre valli
Antonio Scartazzini, Mugnaio
Piccoli numeri, ma grandi soddisfazioni
Attualmente, in Valposchiavo vengono coltivati solo 14 ettari a grano, rispetto ai 60 del 1917. La produzione copre appena il 15% del fabbisogno locale. Per gli agricoltori coinvolti, però, i numeri non sono la priorità. «La cosa che mi fa più piacere è l’entusiasmo e la soddisfazione di coltivare questi grani, trasformarli e vedere il pane sulle tavole», spiega Reto Raselli.
Visibilità e biodiversità
Il progetto non si limita alla produzione, la cooperativa ha installato cartelli informativi ai margini dei campi, per metterne in luce anche la biodiversità. «C’è una grande varietà grazie a queste colture. Non è un caso che il re di quaglie, un uccello raro, venga a nidificare qui», racconta Rosalie Aebi, agronoma.
Guardando al futuro
Il prossimo obiettivo è sviluppare sementi autoctone. «Sceglieremo le migliori dai nostri campi per usarle l’anno successivo», spiega Reto Raselli, «con queste sementi dovremmo avere un grande vantaggio considerando i cambiamenti climatici.»

Campicoltura
Voci del Grigioni italiano 11.10.2024, 19:07
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