L’albero del pane
La castagna è ormai un simbolo della Svizzera italiana, una parte integrante della sua storia - non solo gastronomica – che è stata attraversata anche da povertà. Prima di diventare un marchio nell’immagine della regione, esse sono state una fonte di sostentamento per i nostri nonni e antenati durante i periodi di difficoltà.
Non bisogna andare troppo indietro nella storia: chi è nato nei primi del Novecento, e in particolare abitava nelle valli, si ricorda di come questo frutto autunnale veniva sfruttato il più efficientemente possibile. I terreni impervi delle valli non davano infatti la possibilità di coltivare segale, frumento o altri cereali; bisognava arrangiarsi con quello che c’era, e di castagni ce n’erano in abbondanza.
Così, un po’ come lo sono state patate e cereali per altre popolazioni, le castagne hanno rappresentato un carboidrato fondamentale per secoli, fino a scomparire dalle diete progressivamente fino alla Seconda Guerra Mondiale. Non a caso, infatti, il castagno era anche soprannominato “L’Albero del pane”.
Una risorsa fondamentale
Oggi le castagne sono un bene comune, che si può raccogliere in libertà facendo una passeggiata nel bosco. Ma un tempo non era così: gli alberi erano privati, segnati con le iniziali dei proprietari, così che solo loro potessero raccoglierle al suono delle campane. Inoltre, alcuni bambini non potevano andare a scuola durante i mesi di raccolta, perché erano occupati a raccoglierle.
Fare scorta di castagne per tutto l’anno grazie alla grà
Le castagne non si conservano a lungo nel tempo, quindi bisognava essiccarle per sfruttarle anche nelle stagioni calde. Il procedimento avveniva nelle grà, piccole e tradizionali costruzioni in sasso, ora in parte cadute in disuso e in parte recuperate per scopi didattici.
Si procedeva al “carico della grà”, in cui si depositavano le castagne appena raccolte su un graticolo sotto il quale si accendeva un fuoco, che rimaneva acceso per tre settimane. Le castagne erano rigirate ogni tre o quattro giorni; al termine di questo tempo, si passava allo “scarico della grà” e alla cernita delle castagne.

L’inverno delle castagne
RSI Archivi 13.11.1973, 14:43
Nei filmati d’archivio si può vedere il processo di apertura e selezione delle castagne. Venivano riempiti sacchi di tela robusta con uno o due chili di castagne, che venivano sbattuti per frantumare i gusci (oppure direttamente schiacciati con appositi strumenti). In seguito, le si spostavano in larghe ceste che si scuotevano, così da separare le bucce dal frutto. Infine, si selezionavano quelle intere da quelle rotte, macinate per diventare farina.
https://rsi.cue.rsi.ch/food/extra/territorio-e-tradizioni/Il-carico-della-gr%C3%A0-a-Moghegno--1802870.html
Non solo caldarroste
Comune era lessare le castagne intere e servirle con del latte o in accompagnamento a verdure; oppure consumarle secche, tenendole in bocca come caramelle. Si dice che le donne che filavano la lana le tenessero in bocca per produrre saliva, necessaria a trasformare la lana grezza in filato.
La farina, invece, poteva essere utilizzata per una sorta di polentina, insieme al latte, e, se ne avanzava, il giorno dopo veniva tagliata a fette e arrostita nel burro. Tradizionale era la preparazione della fiascia, un pane della Val Maggia leggermente dolce, che si conservava per mesi. La sua preparazione è diminuita sempre di più nel corso del Novecento e oggi la sua produzione viene fatta soprattutto a scopi didattici o in occasione di feste popolari.

L'antica preparazione della "fiascia"
RSI Archivi 28.12.1981, 14:22
I maronatt alla ricerca di fortuna
Si crea così anche una nuova professione, quella del marronaio, o maronatt. Le castagne come le conosciamo oggi, infatti, sono soprattutto quelle arrostite, immancabili durante la stagione autunnale e invernale. Sono i marronai le persone che le preparano, e di loro si hanno le prime testimonianze nelle Valli al Nord della Svizzera italiana, come quella di Blenio o della Leventina, regioni in cui le entrate si basavano perlopiù sul lavoro agro-pastorale, che durante l’inverno non rendeva abbastanza. Così, i marronai emigravano per vendere le caldarroste nelle piazze cittadine – in Svizzera o all’estero - come Parigi, Londra e Bruxelles. Nel filmato d’archivio si racconta infatti di come fosse la normalità, nei periodi di crisi, partire per compensare il bilancio familiare.

Anatomia del maronatt
RSI Archivi 30.10.1973, 14:13
Non si è trattata soltanto di un’emigrazione verso l’estero: i marronai hanno continuato a esercitare la loro attività anche nella Svizzera italiana, contribuendo in modo significativo alla cultura popolare locale. Oggi è impossibile immaginare un autunno senza le tipiche casette in legno per le vie delle città, o senza le castagnate, fiere conviviali che segnano l’inizio della stagione.
Ci resuscitò l’idea di coltivare un castagno. Non si potrebbe spedirne una ventina in una cassetta ben chiusa per mezzo della posta delle più mature?
Da una lettera del libro “Emigrazione ticinese in California”, a cura di Giorgio Cheda
Da sussistenza a simbolo di crescita
L’arrivo della ferrovia a fine Ottocento è stato un evento cruciale nel progressivo abbandono delle castagne, perché ha permesso di importare a basso costo altri generi alimentari, come la farina di frumento, il riso e le patate. Poi arriva il Secondo dopoguerra, con l’innalzamento del benessere economico e la disponibilità di alimenti destinati un tempo alle classi più ricche, come la carne e lo zucchero. Questo segna definitivamente la fine delle castagne come alimento base. Il frutto diventa anzi un ingrediente per dolci che prima erano considerati di lusso, come i vermicelles o i marrons glacés, ormai centrali nella gastronomia ticinese e anch’essi onnipresenti in autunno: i primi nelle vetrine delle pasticcerie, i secondi come accompagnamento nei piatti di selvaggina.
È proprio nel periodo di boom economico che vengono incentivate le castagnate: fiere popolari che uniscono la regione attraverso i ricordi del passato, dando così vita a un simbolo di una nuova società.
Sapori d’autunno e prodotti locali alla Festa d’Autunno 2025
La domenica popolare 05.10.2025, 10:00
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