La “distruzione completa” dei siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan è stata ribadita oggi dal capo del Pentagono Pete Hegseth. Ma quanto è verosimile? “Lo è”, secondo Nicola Pedde, direttore di ricerca sul Medio Oriente e il Golfo Persico al Centro Militare di Studi Strategici di Roma, “ma è molto difficile poter avere un bilancio preciso delle operazioni”, dice ai microfoni di SEIDISERA.
“In questo momento i tre impianti colpiti hanno caratteristiche molto diverse uno dall’altro. In modo particolare Fordow ha caratteristiche peculiari perché è molto in profondità ed è stato realizzato con un particolare calcestruzzo assorbente. Ma soprattutto l’assenza della possibilità di un’ispezione sul terreno rende difficile l’esame degli effetti di questi bombardamenti”.
Quello che sicuramente gli americani hanno conseguito, secondo l’esperto, “è la possibilità di impedire l’accesso a questi siti. Quindi distruggere i canali di ingresso, quelli di ventilazione e le infrastrutture di alimentazione esterne. Per quanto concerne invece il risultato sul piano interno, quindi sulla parte dei laboratori e dei depositi di stoccaggio è molto difficile in questo momento poter fare una valutazione. Credo che anche per gli stessi americani sia complesso avere un quadro dell’operazione dell’altra notte”.
Certo l’Iran dice altro, ovvero dice che di fatto aveva già trasferito i materiali (comprese le scorte d’uranio) dai siti bombardati. “Gli iraniani - osserva Pedde - sono stati, a detta degli americani, avvertiti con un certo preavviso dell’attacco. Non so se questo effettivamente ha concesso di spostare l’uranio da questi siti e poterlo portare in altri siti protetti. Però sicuramente sono state adottate già da tempo delle misure precauzionali da parte della Repubblica islamica per impedire proprio che potesse verificarsi un’ipotesi come questa”.
Da parte loro, Trump e il premier Netanyahu condividono la convinzione che attraverso la forza si raggiungerà la pace. È davvero così con un regime che sta anche lottando per la propria sopravvivenza? “Gli Stati Uniti sembrano essersi convinti della possibilità di esercitare una forte pressione politica e diplomatica sull’Iran attraverso l’uso della forza. In realtà, queste offerte di negoziato restano massimaliste da parte degli Stati Uniti. Totale cancellazione del programma nucleare. Non non sono chiari quali possono essere i termini di eventuale compensazione economica sotto il profilo di un accordo di questo tipo. E peraltro anche la diplomazia iraniana ha ricordato oggi come sia molto difficile poter accordare fiducia agli Stati Uniti dopo che, parole del Ministro degli esteri Araghchi, hanno tradito gli impegni negoziali già due volte nel corso dell’ultima settimana. La prima avallando l’attacco israeliano due giorni prima dei colloqui indiretti tra USA e Iran in Oman. E la seconda questa notte, a due giorni dal l’avvio dei negoziati promossi dall’Unione europea che erano stati concordati anche con gli Stati Uniti”.
Secondo Nicola Pedde, “è chiaro che per gli iraniani diventa molto difficile poter gestire i termini di un nuovo negoziato e non bisogna sottovalutare oltretutto come la politica iraniana è in questo momento polarizzata. Tra due posizioni molto distanti tra loro, cioè quella della prima generazione, che è poi anche del Governo, che continua a mantenere una porta aperta verso la politica, la diplomazia e il rapporto con la comunità internazionale. E la seconda generazione, l’apparato militare soprattutto che invece insiste fortemente per il mantenimento della linea dura con gli americani perché non intravedono alcuna possibilità negoziale. Questa seconda posizione temo che risulterà essere in questo momento quella più facilmente gestibile dagli iraniani, anche perché è l’unica che concede margini di sopravvivenza per le autorità del regime”.
Per concludere, Nicola Pedde, cosa succederà adesso, quali sviluppi militari si attende nella regione? “Ma tutto dipende molto, secondo me, in questa fase proprio dalla politica interna iraniana. Se la prima generazione, la Guida Suprema soprattutto, riuscirà a frenare le spinte della seconda generazione e dei pasdaran che chiedono a gran voce di attaccare obiettivi americani nella regione, di chiudere lo stretto di Hormuz, quindi di innalzare il livello della tensione in tutta la regione. Ecco se il Governo e la Guida Suprema riusciranno a contenere queste spinte probabilmente si riuscirà ad aprire uno spiraglio che potrebbe idealmente portare verso un negoziato. Qualora invece dovessero iniziare operazioni militari contro gli Stati Uniti o a danno della sicurezza nello Stretto di Hormuz, che rappresenta un’arteria vitale per il trasporto di petrolio in direzione dei mercati asiatici, credo che questo comporterebbe un prolungamento del conflitto e un più ampio coinvolgimento degli Stati Uniti. E con ogni probabilità un ampliamento su scala regionale del conflitto”.

L'operazione USA contro i siti nucleari iraniani
Telegiornale 22.06.2025, 20:00