Osama Njeem Almasri, l’ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli ricercato dalla Corte penale internazionale (CPI) è stato arrestato in Libia, su ordine della magistratura locale. “Ha torturato e ucciso”, è l’accusa della procura, dopo averlo interrogato e raccolto prove sufficienti, ha disposto la carcerazione preventiva.
Il nome di Almasri è legato ad uno dei casi più spinosi che il governo di Giorgia Meloni abbia dovuto affrontare: tra il 19 e il 21 gennaio scorsi il generale era stato arrestato in Italia, dove si trovava per assistere ad una partita di calcio, in esecuzione di un mandato di cattura emesso della Corte penale internazionale.
Ma invece di essere consegnato all’Aja, come prevedono le regole, l’uomo era stato riportato in Libia con un volo dei servizi segreti, e accolto con una grande festa dai suoi sostenitori.
In Italia la decisione diventava oggetto di aspro scontro tra governo e opposizioni e di un contenzioso con la CPI, formalmente non ancora chiuso. Nel frattempo però è arrivato il colpo di scena: ora sono gli inquirenti libici ad accusare il generale di avere torturato migranti e di averne ucciso almeno uno di loro. L’obbiettivo probabile: estorcere denaro ai loro familiari, in cambio del permesso di continuare il viaggio della speranza verso l’Europa.
Le accuse sono praticamente analoghe a quelle del mandato di cattura dell’Aja. Il procuratore di Tripoli Sadiq al-Sour, secondo i media libici, ha potuto contare sulla collaborazione della CPI. La Corte per ora non commenta. La questione è nota: diversi ex detenuti delle carceri libiche l’hanno raccontata con dovizia di particolari raccapriccianti, anche in audizoni ai Parlamenti italiano ed europeo
La versione di Roma
Il governo italiano ha fornito dopo la notizia dell’arresto una sua versione dei fatti, fino ad ora inedita: Roma afferma che era a conoscenza di un mandato di cattura emesso dalla procura di Tripoli già nel mese di gennaio, ragione per cui ha proceduto all’immediata espulsione in Libia e non all’estradizione presso la CPI.
Una versione che non servirà a placare le polemiche: per le opposizioni in Italia il governo deve chiedere scusa per una vicenda che ha umiliato l’intero paese.
Almasri è caduto in disgrazia
L’arresto del fino ad ora intoccabile Almasri è quasi certamente figlio del declino improvviso della Rada, la sua milizia privata, finita nel mirino del primo ministro Abdulhamid Daibaba.
Per anni la Rada ha controllato porti, aeroporti e infrastrutture strategiche della Tripolitania, ma nelle ultime settimane i rapporti con le forze regolari si sono interrotte, forse anche per un cambio di strategia del premier, che vuole ripulire l’immagine internazionale del suo governo.
Già 13 organizzazioni non governative specializzate nella ricerca e soccorso di migranti in mare hanno deciso di troncare ogni contatto con le autorità libiche, accusando il Centro congiunto di coordinamento dei soccorsi di Tripoli (JRCC) di “crescenti violazioni dei diritti umani” e avvertendo che procederanno ai salvataggi in mare senza informarlo.
Anche l’UE e l’Italia, che per anni hanno tollerato le violazioni libiche lasciando a Tripoli fare la parte più sporca del lavoro di arresto dell’immigrazione, sembrano avere dato segnali di volere un cambio di registro. Daidaba non poteva più permettersi di tollerare che il più noto dei torturatori rimanesse impunito.






