“La mia giornata è cominciata di notte, ci sono stati bombardamenti importanti. Io abito a una decina di chilometri a sud della città di Gaza, ma anche qui si sentivano forti esplosioni”. In diretta da Khan Younis, il medico di Emergency Giorgio Monti ha portato la sua testimonianza a 60 minuti sulla situazione nella Striscia di Gaza. Assieme ad altri 5-6 medici internazionali, il medico d’urgenza italiano lavora con una quarantina di professionisti locali. Questo lunedì ha faticato a raggiungere la clinica a causa della strada piena di profughi in fuga.

Il medico coordinatore di Emergency, Giorgio Monti
Intervistato da Reto Ceschi, il medico di Emergency racconta di aver “finito gli aggettivi” per descrivere la situazione. “Ho visto molte guerre e fatto molte missioni in aree di guerra, ma questa devastazione non l’avevo mai vista. Per cui sono arrivato immediatamente ai superlativi e sono arrivato subito a sentirmi dire: questa è la catastrofe, è un’apocalisse”. E questo, sottolinea, “era un anno fa. In un anno di bombardamenti, di carestia, di fame, di lutti, le cose sono peggiorate, ma non ho le parole per spiegarlo e faccio fatica a raccontarlo anche agli amici quando mi chiedono com’è la situazione. Noi vogliamo essere qui anche per quello. Credo che sia importante che si possa vedere, si possa provare a riportare qualcosa. Lo fate voi e vi ringrazio per questo. È importante mostrare che c’è un’altra umanità che tiene ai valori importanti, che non sono quelli della guerra”.
A Gaza si muore in tanti modi, anche di fame. “La fame è un’arma - afferma il medico -. Qui è usata come un’arma ed è terribile. Perché la fame uccide lentamente, perché è inesorabile. Perché anche quando non uccide, soprattutto nei bambini più piccoli, lascia dei segni indelebili. I bambini che hanno sofferto nei primi due anni di vita di malnutrizione grave, che non è semplicemente una carenza di cibo ma una malattia, non recuperano mai la stessa prestanza fisica, ma neppure la stessa capacità mentale. I bimbi che ne hanno sofferto avranno meno opportunità intellettuali e fisiche. Quindi è veramente un’ingiustizia nell’ingiustizia e una violenza incommensurabile”.
Trattare questa malattia, perché di questo si tratta, non è facile, “neanche da spiegare ai medici gazawi che non l’avevano mai affrontata e faticavano anche a riconoscerla”. Il lavoro sul campo avviene in collaborazione con l’UNICEF: “Diamo cibo terapeutico, integratori alimentari, seguiamo i bambini, ma anche le donne in gravidanza e in allattamento, che ovviamente con la carenza di cibo non hanno latte a sufficienza per i loro pargoletti. Quindi è uno sforzo continuo di attenzione e di sensibilizzazione. Diciamo portateli qui. Abbiamo i biscotti fortificati, del cibo terapeutico. Proviamo premurosamente ad andarli a cercare, quando non sono loro a cercare noi”.
In questa situazione di stress estremo, reggere non è facile. “Emergency - spiega a 60 minuti il medico italiano - ha scelto persone esperte e abituate a missioni sotto stress. Eppure è una sfida tutti i giorni. È una sfida che affrontiamo però cercando di essere molto consapevoli, cercando di sapere che abbiamo un limite anche noi, che dobbiamo riconoscerlo e dobbiamo accettarlo. Ci aiutiamo, fra di noi, prendendoci un po’ in giro, scherzando. Io, per esempio, scarico la tensione correndo su e giù per le scale o saltando la corda sul tetto. Qualcun altro canta. Soprattutto cerchiamo di non avere grandi aspettative perché la disillusione è ancora più difficile poi da sopportare. Sentire il sostegno della gente è una bella spinta. Ci fa bene”.

Nuovi attacchi contro Gaza City
Telegiornale 20.09.2025, 20:00