Da una parte ci sono le minacce di “danni e conseguenze irreparabili” lanciate dall’ayatollah Ali Khamemei in caso di un coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra a fianco di Israele, dall’altra l’assenza di alleati regionali e i pesanti bombardamenti subiti dagli arsenali. Quanto sono fondati, dunque, gli avvertimenti dell’Iran? “Il vero elemento strategico su cui punta l’Iran è la componente asimmetrica, in modo particolare il proprio arsenale missilistico e quello dei droni. Buona parte di questo arsenale è custodito all’interno di sistemi bunkerati. E quindi, verosimilmente, una parte ancora consistente di questi armamenti è intatta all’interno di queste strutture di ricovero”. Così ha spiegato ai microfoni di SEIDISERA Nicola Pedde, che dirige la ricerca sul Medio Oriente e il Golfo Persico al Centro Militare di Studi Strategici di Roma.
Il famigerato “più grande arsenale missilistico del Medio Oriente” in Iran è ancora realtà?
“È difficile dare una stima perché non abbiamo mai avuto numeri realmente precisi su questo arsenale”, spiega Pedde, “sicuramente è un arsenale ingente, secondo le stime dovrebbe avere ancora alcune migliaia di missili a disposizione. Il vero problema in questo momento potrebbe diventare quello dei lanciatori, le rampe per lanciare questi missili contro Israele. Perché numerose di queste rampe sono state colpite e distrutte dalle incursioni israeliane”. “L’Iran non ha fatto mistero, peraltro, di voler contemplare anche la possibilità di un allargamento sul piano regionale della propria offensiva, qualora un attacco di maggiori proporzioni dovesse coinvolgere il Paese, soprattutto con l’ingresso degli Stati Uniti in questo conflitto”.
Uno degli obiettivi sono le basi americane in Medio Oriente: cosa potrebbe succedere?
“Questo è sicuramente uno dei principali fattori di rischio in questo momento”, commenta Nicola Pedde, ”se gli Stati Uniti dovessero entrare nel conflitto, le basi diventano chiaramente un obiettivo da parte degli iraniani. Ma a questo scenario potrebbero aggiungersi numerose basi presenti all’interno dei Paesi dell’area del Golfo Persico e quindi questo potrebbe portare a un allargamento del conflitto”.
“Lo Stretto di Hormuz è il vero elemento critico”
“Anche Hormuz ha da sempre rappresentato uno degli elementi della narrativa strategica dell’Iran”, spiega Pedde. “Da lì transita circa il 45% delle risorse petrolifere destinate ai mercati di consumo mondiali. Inoltre, per le sue caratteristiche geomorfologiche, rende la capacità iraniana di sferrare attacchi più semplice rispetto al colpire gli interessi di Israele o degli Stati Uniti nella regione: qui le distanze ridotte consentirebbero infatti all’Iran di attaccare e coinvolgere altri attori regionali nella dinamica di crisi.”
Le minacce di cyberguerra: bluff o realtà?
In questo caso c’è una vera capacità offensiva, perché sul fronte della cyber security sostanzialmente i Paesi oggi giocano ad armi pari”, risponde Pedde. “La superiorità tecnologica che possiamo vedere sul piano militare tende a ridursi sul piano della cyber sicurezza. È un Iran sicuramente indebolito nelle infrastrutture del programma nucleare e in quello militare convenzionale, ma non ancora in ginocchio dal punto di vista militare”.