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Al cuore degli ONUleaks

Quale protezione per i whistleblower alle Nazioni Unite? L'inchiesta della RSI

  • 21 giugno 2022, 21:59
  • 14 settembre 2023, 09:19

Al cuore degli ONUleaks

RSI Info 21.06.2022, 21:59

Più di 300 pagine fra e-mail, resoconti e rapporti interni, e una dettagliata ricostruzione dei fatti. Questo è quanto ho ricevuto tra il settembre e il dicembre del 2021. E il tutto era cominciato con una semplice e-mail ricevuta in una giornata come tante in cui mi si diceva più o meno «Sono stata lasciata a casa dopo che ho denunciato delle irregolarità nella mia organizzazione».

Non era la prima volta che ricevevo segnalazioni simili, ma questa aveva qualcosa di particolare. La fonte si era da subito rivelata un fiume in piena di informazioni da verificare, piste che si intrecciavano fra cui avrei dovuto scegliere attentamente per poi poter raccontare una storia senza perdersi. Ma poi sarebbe stata una storia, importante, ma una storia come purtroppo tante altre. E allora perché non indagare sul sistema che quella storia aveva in qualche modo prodotto? E fuori dall’ONU, quali altri esempi avrebbero potuto aiutarci a capire la posta in palio? Visto l’incombente giudizio che la Westminster Magistrates' Court di Londra e poi il governo britannico avrebbero dovuto dare sul caso di Julian Assange, non c’erano dubbi.

Ma la prima sorpresa è stato il disinteresse del principale interessato, l’ONU, a cui ho rivolto insistenti domande di chiarimenti e soprattutto di interviste con telecamera che non hanno mai avuto un esito positivo. Solo in un’occasione mi è stato concesso di incontrare alcuni responsabili a conoscenza dei fatti, ma no alle telecamere e da quell’incontro nessuna citazione. Responsabili che mi hanno tuttavia confermato quello che stavo scoprendo: malgrado i proclami, malgrado i dispositivi messi in piedi, malgrado gli inviti interni ad alzare la voce per segnalare irregolarità, il sistema di protezione per i whistleblower all’interno delle Nazioni Unite non funzionava, e non solo: non poteva e forse non doveva funzionare; troppo frammentato, poco indipendente, molto complicato, invece di facilitare le segnalazioni dei whistleblower, il sistema di fatto scoraggiava questi ultimi a denunciare irregolarità. Allora perché tanta insistenza da parte dell’ONU verso i propri collaboratori ad alzare la voce in caso di attività illecite? Perché tanti inviti a farsi trasparenti, se poi alla fine il sistema non funziona? Era forse un modo per prendere semplicemente nota di nomi e cognomi di collaboratori troppo zelanti e per questo, forse, troppo fastidiosi?

E’ vero, all’interno delle 10.413 segnalazioni raccolte fra il 2012 e il 2016 (Rapporto della Unità congiunta di Ispezione dell’ONU), ci possono essere non poche denunce di poco conto. È altresì vero che l’ONU è un’organizzazione complessa su cui troppe volte e troppo facilmente si scaricano le colpe invece di coinvolgere i responsabili ultimi, ovvero i paesi membri. È però anche vero che la «Ginevra internazionale», di cui l’ONU è il pilastro centrale, non ama scandali e denunce, ma preferisce garantire a tutti gli attori che ne fanno parte un dialogo efficace, continuo e lontano dai riflettori, Qui si lavora davvero – ho sentito dire una volta al margine di una sessione dei diritti umani – non come a New York dove è tutto politica e potere. Qui si parla di aspetti concreti, che hanno un immediato impatto su milioni di cittadini nel mondo. Qui si dialoga, poi però sì, si decide a New York, mi aveva confessato la stessa persona. E lo si può fare, perché qui, a Ginevra, siamo equidistanti dalle grandi potenze, siamo su suolo neutrale. È un micro-sistema ideale di tranquillità, efficienza, e discrezione elvetica. Tutto vero.

Eppure, 10'413 segnalazioni in 4 anni non sono poche e potrebbero essere di più. Di queste, inoltre, 2'055 sono oggetto di indagini; in 278 casi il o la whistleblower ha chiesto protezione, ma solo in 28 casi si è arrivati a un verdetto del tribunale interno delle Nazioni Unite. E allora? Sono tutti millantatori e il sistema funziona perfettamente? Oppure no? E perché non funziona? Quanti hanno abbandonato lungo il percorso tortuoso di una segnalazione? E perché? È davvero possibile denunciare un proprio capo per alcune irregolarità senza incappare in una serie di ritorsioni, considerando poi che molti collaboratori e molte collaboratrici hanno contratti precari e rinnovabili, i quali potrebbero, quasi per magia, non esserlo più?

A tutte queste domande ho cercato di dare qualche risposta o di rilanciare altre domande, ancora una volta, però, non potendo contare sulla collaborazione di chi quelle risposte avrebbe dovuto darle davanti a una telecamera e cioè all’opinione pubblica: l’ONU.

Ci sono riuscito? Non sta a me dirlo. Lo spero, almeno in parte.

Riccardo Bagnato

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RICHIESTA DI ERRATA CORRIGE DEL DFAE

Il DFAE ha risposto il 6 novembre 2020.

Il FDFA Compliance Office ha anche offerto al whistleblower la possibilità di fornire ulteriori informazioni e/o prove, cosa che non è stata fatta.

PRECISAZIONI ALL'ERRATA CORRIGE

Ribadiamo nella sostanza la nostra posizione e precisiamo.

E’ vero, abbiamo ricevuto l’email allegata alla richiesta di ERRATA CORRIGE da parte del DFAE il 13 ottobre 2021. In cui, tuttavia, si legge: «Il 3 novembre 2020 il DFAE ha ricevuto un messaggio da parte di un whistleblower con accuse relative alla questione summenzionata. L'e-mail che accludi al tuo messaggio non è stata ricevuta dal DFAE [la sottolineatura non è nostra, ma è parte della comunicazione]. Tuttavia, il suo contenuto corrisponde essenzialmente a quello dell’e-mail ricevuta dal DFAE del 3 novembre.” e ancora “Il DFAE ha risposto il 6 novembre 2020. Il FDFA Compliance Office ha anche offerto al whistleblower la possibilità di fornire ulteriori informazioni e/o prove, cosa che non è stata fatta.”

Rimane dunque altrettanto vero che:

1) le diverse email della nostra fonte non sono state ricevute dal DFAE, o tutt’al più sono finite nello SPAM (???) come suggerito dal Dipartimento stesso nella comunicazione ricevuta il 22 ottobre 2021 e ripresa nell’inchiesta.

2) che le date non corrispondono: la nostra fonte ha spedito al DFAE il 2 gennaio, il 15 gennaio, il 18 gennaio e il 15 marzo 2021 e non il 3 novembre 2020 (questa volta la sottolineatura è nostra). Di queste e non di altre email abbiamo chiesto la verifica, come raccontato nell’inchiesta.

2) che se il DFEA ha ricevuto un email corrispondente nel contenuto a quella della nostra fonte e ha risposto a questa email senza ricevere a sua volta risposte, è presumibile si tratti di un/a altra/o whistleblower.

3) che infine, a diverse email spedite tra gennaio e marzo 2021 e un contatto diretto via Web a un funzionario del DFAE, non è seguita nessuna risposta, fatto nuovamente confermato dalla nostra fonte.

Detto questo, restiamo ovviamente disponibili a ulteriori verifiche e confronti. E pronti a rettificare quanto necessario nel caso emergano ulteriori dettagli.

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Chi è un whistleblower

Non esiste una vera e propria traduzione in italiano per il termine «whistleblower». In francese si usa «lanceur d’alerte», cioè «colui che lancia un allarme» ed è certamente un modo più preciso di tradurlo rispetto all’italiano «informatore» o «segnalatore d'illeciti». Perché, diciamolo subito, il whistleblower non è una spia, non è un delatore o una talpa e neppure una «gola profonda», tanto meno un ricattatore. Al contrario, è qualcuno che segnala delle gravi irregolarità presenti e osservate nel proprio contesto lavorativo generalmente in modo anonimo. Le può segnalare all’ufficio di conformità dell’azienda, o all’ufficio etico dell’organizzazione o ancora all’unità di investigazione interna che a loro volta devono garantire al whistleblower protezione in caso di ritorsioni nei suoi confronti per quanto sta rivelando. Ma il whistleblower può segnalare le irregolarità anche a un giornalista, soprattutto quando i canali interni non funzionano. Più in generale il o la whistleblower decide di segnalare illeciti di cui può fornire prove per diversi motivi: perché le irregolarità vengano corrette, perché i responsabili siano eventualmente sanzionati e, nel caso vengano coinvolti i media, perché l’opinione pubblica venga informata. In inglese la parola «whistleblower» deriva dalla frase «to blow the whistle», letteralmente «soffiare il fischietto», e si riferisce all'arbitro che segnala un fallo o a un poliziotto che tenta di fermare un reato. Il termine è in uso almeno dalla fine degli anni ‘50 del ‘900, ma è solo negli ultimi vent’anni che ha assunto una certa popolarità.

Julian Assange è un whistleblower?

Sebbene sia oggetto di dibattiti nei tribunali dove si è discusso e si discute del suo caso, la risposta è no. Di fatto non risulta sia stato Julian Assange a recuperare migliaia di documenti top secret sulla guerra in Iraq e Afghanistan, o quelli inerenti la situazione nella prigione di Guantanamo, o i cosiddetti cablogrammi del Dipartimento di Stato statunitense (messaggi telegrafici che vengono inviati attraverso un cavo sottomarino e utilizzati dalla diplomazia a stelle e a strisce per comunicare con il proprio governo). Juliana Assange, e più precisamente WikiLeaks, li ha semmai successivamente pubblicati. Julian Assange è invece il fondatore di Wikileaks (dall'inglese leak «perdita» o «fuga [di notizie]») lanciata nel 2006. Stiamo parlando di un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro che riceve in modo anonimo, grazie a un contenitore protetto da un potente sistema di cifratura, documenti coperti da segreto (di Stato, militare, industriale, bancario) e li pubblica sul proprio sito. Prima della pubblicazione, i documenti vengono controllati dalla redazione di Wikileaks e, nei casi più famosi, questo controllo e la successiva pubblicazione sono avvenuti in collaborazione con decine fra i più importanti giornali al mondo come ad esempio il New York Times, il Guardian, Le Nonde, L’Espresso, El Pais o Der Spiegel. È quindi errato considerare Julian Assange un whistleblower. È un attivista, un editore e un giornalista. Wikileaks non è inoltre la sola piattaforma online per whistleblower presente oggi in Internet.

Qualche esempio di whistleblower?

Per una lista completa, si veda Wikipedia. Per rimanere ai nostri giorni e ai casi più famosi, basti citare Chelsea Manning, alla base delle rivelazioni sulle guerre in Iraq e Afghanistan; Edward Snowden, che ha svelato il progetto «Prism» per la sorveglianza di massa messo in piedi dalla National Securiy Agency degli Stati Uniti; e poi, per rimanere alle nostre latitudini, si può citare Rudolf Elmer per il caso che ha coinvolto la banca Julius Bär; Bradley Birkenfeld alla base di un processo per frode contro l’UBS; e Stéphanie Gibaud, la quale ha svolto un ruolo determinante nella denuncia delle pratiche di evasione fiscale e riciclaggio di evasione fiscale di UBS Svizzera con la complicità di UBS France.

Ricorso negato per Assange

Telegiornale 15.03.2022, 13:30

Bibliografia dell’inchiesta

La maggior parte dei rapporti di cui ci siamo serviti per l’inchiesta sono pubblici. Alcuni documenti di cui siamo entrati invece in possesso (scambio di email, screenshot, rapporti interni, documenti confidenziali) sono invece il frutto del lavoro di ricerca e delle fonti.

Per quanto riguarda i rapporti e documenti pubblici:

Per quanto riguarda altri testi:

  • Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks, Stefania Maurizi (Chiarelettere, 2021);

  • The Trial of Julian Assange: A Story of Persecution, Nils Melzer (Verso, 2022);

  • La grande inchiesta di Report sulla pandemia, Giulio Valesini, Cataldo Ciccolella (Chiarelettere, 2021);

  • Il pesce piccolo: Una storia di virus e segreti, Francesco Zambon (Feltrinelli, 2021);

  • Bugie, verità, manipolazioni: Controstoria della pandemia, Ranieri Guerra (Piemme, 2021);

  • Errore di sistema, Edward Snowden (Longanesi, 2019);

  • Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri, Zuboff, Shoshana (Luiss, 2019);

  • La femme qui en savait vraiment trop: Les coulisses de l'évasion fiscale en Suisse, Stéphanie Gibaud (Le Cherche Midi, 2014);

  • La traque des lanceurs d'alerte, Stéphanie Gibaud (Max Milo Editions, 2017);

  • La Q di Qomplotto. QAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema, Wu Ming 1 (Edizioni Alegre, 2021);

  • No place to hide. Sotto controllo. Edward Snowden e la sorveglianza di massa, Greenwald, Glenn (Rizzoli, 2014);

  • Cypherpunks: Freedom and the Future of the Internet, Julian Assange, Jakob Appelbaum, Andy Muller-Maguhn, Jérémie Zimmermann (Or Books Llc, 2016).

ONU, i whistleblower

Telegiornale 20.06.2022, 22:00

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