Che cosa vuole davvero Donald Trump dal Venezuela? Ventuno bombardamenti dopo, con almeno 82 presunti narcos venezuelani uccisi nel Mar dei Caraibi, il presidente americano si dice pronto a passare agli attacchi di terra. Ma intanto, più che i caccia e i droni, ronzano le voci: a Washington si parla senza arrossire di un cambio di regime a Caracas, con relativo ultimatum a Nicolás Maduro…
Ne è persuaso, Albert “Jim” Marckwardt, quasi trent’anni nell’Esercito e docente alla Johns Hopkins University, a capo della ricerca accademica sull’America Latina. “Non servono le portaerei per sconfiggere i trafficanti di droga, questa lotta è solo un pretesto per far pressioni su Maduro”, afferma sorridendo l’ex militare al Telegiornale RSI. “Maduro deve percepire che rimanere in carica lo espone a un pericolo, che ha più probabilità di morire rimanendo presidente che dimettendosi.”

Albert “Jim” Marckwardt, quasi trent’anni nell’Esercito e docente alla Johns Hopkins University
L’allusione è agli spostamenti della marina militare americana al largo di Puerto Rico e ai 15mila soldati dispiegati nella regione. Dobbiamo aspettarci un’operazione di terra? “No, l’opinione pubblica americana [n.d.r. e in particolare la base elettorale di Trump] non è favorevole a questa opzione, spiega Marckwardt. Il 70% degli americani è contrario a un’invasione statunitense in Venezuela”. Per lo studioso gli Stati Uniti non puntano a un “Regime Change”, come in un passato non troppo lontano, bensì a portare al “collasso” il regime di Caracas, confidando nell’opposizione venezuelana per la transizione “come Edmundo Gonzalez, già rivale di Maduro alle presidenziali 2024 con il sostegno del Premio Nobel per la Pace Maria Corina Machado”.

Donald Trump
Trump non vuole occuparsi di un’eventuale transizione. Ma qual è il suo scopo? “Non si tratta tanto di democrazia, ammette Marckwardt, né molto del petrolio (la produzione non è immensa e le riserve sono costose da sfruttare), ma è come se Trump volesse portare a termine un obiettivo del suo primo mandato, ora rafforzato dalla lotta all’immigrazione e ai traffici criminali”. E qual è il ruolo del Segretario di Stato Marco Rubio? “È certamente un fattore!, replica. È notoriamente un “falco” nei confronti del regime comunista e una caduta di Maduro sarebbe pure il mantenimento di una promessa della campagna fatta agli elettori ispanici della diaspora venezuelana e cubana, specie in Florida”.

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro
Come interverrebbe l’Esercito americano allora? “No “boots on the ground”. Nessun intervento via terra”. Per il già Tenente Colonnello dell’Esercito vi sono diverse opzioni e tempistiche, “L’amministrazione Trump ha poco tempo a disposizione, solo pochi mesi, perché stiamo entrando nel ciclo delle elezioni di medio termine”. Le strategie più probabili secondo lui sono quelle che chiama “Opzione Libia” e “Opzione Soleimani”, con riferimenti agli interventi del 2011 e del gennaio 2020 in Iraq. “O una campagna aerea e navale per bombardare le forze armate e le infrastrutture chiave per forzare un cambio di regime, o colpire un leader importante con un attacco mirato, con i droni ad esempio”. L’obiettivo però non sarebbe il presidente Maduro: “è sempre delicato perseguire i capi di Stato… Un altro modo sarebbe quello di perseguire figure chiave e una di quelle che mi viene in mente è Diosdado Cabello, che guida il Cartel de Los Soles e molte reti criminali ed è molto influente... Così da spaventare Maduro e nel frattempo negoziare una via d’uscita per fargli lasciare il paese”.
Donald Trump ha confermato di aver parlato con Nicolás Maduro. Si parla di un ultimatum di una settimana. Nel frattempo, il leader venezuelano è apparso in pubblico, mostrandosi fiducioso e gagliardo. “È ricomparso questo weekend dopo essere scomparso per giorni, sottolinea Marckwardt, ma la pressione lo sta decisamente turbando. Si sta spostando molto all’interno del Venezuela perché non si sente al sicuro, ma…”. Il docente della Johns Hopkins è consapevole che l’obiettivo statunitense è ambizioso: “il regime di Maduro è in vigore da tempo, da oltre un decennio, e prima c’era Chavez. Ci sono relazioni istituzionalizzate, organizzazioni, ci sono i ‘colectivos’, ci sono i militari… non è facile sradicarlo ed eventuali errori di strategia potranno pesare sul ruolo e la credibilità statunitense nella regione”.





