Reportage

Dentro la guerra in Nigeria, tra bombe “intelligenti” e machete

Dalle radure del nord ai campi profughi del Benue: viaggio in un conflitto dove la religione è spesso solo la superficie di una crisi più profonda

  • Un'ora fa
Teryila. Villaggio yelwata, Benue è uomo sopravissuto ad attacco fulani. Ha perso tutta la famiglia arsa viva in casa.
04:05

Il reportage dalla Nigeria

Telegiornale 27.12.2025, 20:00

  • Francesco Maviglia
Di: Francesco Maviglia, testo e fotografie

Nei pressi del villaggio Jabo (Stato di Sokoto) i crateri lasciati dalle bombe statunitensi disegnano cerchi perfetti. Al loro interno restano schegge metalliche che finiranno presto nelle mani dei bambini: raccolte e rivendute ai mercanti di ferro per poche naira. È questa l’eredità visibile, e paradossale, dell’operazione militare lanciata da Washington in risposta al clamore internazionale sul presunto “genocidio cristiano” in Nigeria. Un intervento ad alta tecnologia pensato per sradicare le milizie jihadiste nel Nord-Est, ma che sul terreno rischia di lasciare solo macerie e nuove tensioni.

Tuttavia, la mappa del dolore in Nigeria è più complessa. La maggior parte degli assalti più feroci non avviene nelle roccaforti dell’ISWAP (lo Stato islamic dell’Africa occidentale, ndr.) o di Boko Haram, ma nella Middle Belt, la fascia centrale del Paese. Qui, comunità agricole cristiane e pastori nomadi Fulani — in larga parte musulmani — combattono da anni una guerra logorante per il controllo della terra e delle risorse idriche. È una violenza diffusa, quotidiana, che colpisce quasi esclusivamente i civili e che si consuma lontano dai riflettori della diplomazia globale.

 Il Makurdi Modern International Market, riconvertito in un campo per sfollati

Il Makurdi Modern International Market, riconvertito in un campo per sfollati

  • Francesco Maviglia

Alla ferita degli attacchi si somma quella dell’abbandono. I civili sopravvissuti agli attacchi si riversano nei numerosi campi per sfollati interni nello Stato del Benue, tra questi il Makurdi Modern International Market, riconvertito in un campo per sfollati. La vita qui è ridotta all’essenziale: porte in lamiera, stuoie sottili e cemento grezzo. È solo uno dei quindici campi che punteggiano l’epicentro di questa crisi umanitaria.

“Qui non si vive, si sopravvive”, ripetono le donne all’ingresso, mentre i bambini raccolgono l’acqua piovana in secchi di fortuna. L’accesso alla stampa è limitato, ma le cicatrici di ustioni e machete raccontano storie che non hanno bisogno di parole.

Secondo fonti locali e religiose, dall’inizio del 2025 nel solo Benue sono state uccise 1’400 persone. Il 90% erano cristiane.

sTTgE- (1).png

Tra gli episodi più cruenti c’è l’attacco del 14 giugno a Yelwata nel Benue. Ngufan, nove anni, si muove oggi con stampelle di legno grezzo, quella sera con il machete le hanno tagliato una gamba. Ed è proprio “machete” la parola che ricorre ossessivamente nelle testimonianze.

Teryila ha perso tutto. La sua schiena è una mappa di ustioni, ma il dolore più acuto traspare dalla voce: “Quel giorno ho perso mia moglie Dooseh e mio figlio Aseerh. Dormivano. Quando è scoppiato l’incendio ho sentito le loro grida. Ho provato a raggiungerli, ma le fiamme erano troppo alte. Mio figlio non aveva ancora un anno”.

Il suo ultimo ricordo sono le voci che imploravano aiuto, poi il silenzio.

Yelwata, Benue:  una donna sopravvisuta ad attacco fulano che ora vive nel capo per sfollati interni di Makurdi

Yelwata, Benue: una donna sopravvisuta ad attacco fulano che ora vive nel capo per sfollati interni di Makurdi

  • Francesco Maviglia

Wilfred Chikpa Anagbe, vescovo di Makurdi, non usa mezzi termini: parla di persecuzione religiosa e punta il dito contro l’inerzia — se non la complicità — del governo. “Dal 2018 al 2025 qui sono state distrutte 19 chiese. Questa è una rivoluzione islamica”, denuncia.

Una posizione netta, che lo pone però in contrasto con altre figure di spicco della Chiesa nigeriana, come il vescovo di Sokoto, Matthew Hassan Kukah. Per quest’ultimo, pur nella brutalità degli eventi, le violenze non sono un piano sistematico di eliminazione religiosa, ma il sintomo del collasso della sicurezza nazionale. Un vuoto di potere che travolge tutti, cristiani e musulmani moderati.

 Il vescovo di Sokoto, Matthew Hassan Kukah

Il vescovo di Sokoto, Matthew Hassan Kukah

  • Francesco Maviglia

Le storie che arrivano dal Nord-Est sembrano confermare questa lettura più sfumata. A Pulka, città fortificata trasformata in campo profughi, Ibrahim Musa, agricoltore musulmano, racconta il suo calvario: arrestato dai militari perché scambiato per un terrorista, ha subito torture tali da provocare una necrosi irreversibile alle mani. Oggi, amputato, non può più coltivare la terra e dipende dagli aiuti umanitari.

In questa terra di nessuno, la sicurezza è autogestita. Per poter lavorare nei pochi campi accessibili, alcuni abitanti imbracciano fucili artigianali. Le regole sono rudimentali ma ferree: al rientro dalle coltivazioni devono consegnare una pietra colorata, diversa ogni giorno, per dimostrare di non essere infiltrati nemici. Un codice primitivo per restare vivi.

Pulka, Stato di Borno: Ibraim Musa e la sua famiglia di agricoltori cristiani

Pulka, Stato di Borno: Ibraim Musa e la sua famiglia di agricoltori cristiani

  • Francesco Maviglia
immagine
02:11

Nigeria, non si escludono altri attacchi USA

Telegiornale 26.12.2025, 20:00

rsi_social_trademark_WA 1.png

Entra nel canale WhatsApp RSI Info

Iscriviti per non perdere le notizie e i nostri contributi più rilevanti

Correlati

Ti potrebbe interessare