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I piedi dei “social” sulla scena del delitto di Garlasco

La riapertura delle indagini sulla morte di Chiara Poggi monopolizza le trasmissioni tv in Italia - Ma è “riduttivo chiamarlo circo mediatico”, dice Stefano Nazzi, autore del podcast Indagini

  • 27 maggio, 19:38
  • 28 maggio, 08:49
06:51

Delitto di Garlasco fra speculazioni mediatiche e fatti

SEIDISERA 27.05.2025, 18:00

  • ANSA
Di: SEIDISERA/Valenti/Spi 

Bruno Vespa ha rispolverato il plastico della villetta di Garlasco, ma “è riduttivo chiamarlo circo mediatico”, ora ci sono anche i social. Almeno questo è il parere di Stefano Nazzi, giornalista di cronaca giudiziaria e autore del podcast Indagini. SEIDISERA lo ha interpellato per parlare del caso che monopolizza i media italiani. Da giorni le trasmissioni televisive e i talk show sono tornati a cavalcare la riapertura delle indagini per l’omicidio, nel 2007, della giovane Chiara Poggi. Un delitto per il quale è stato condannato a 16 anni, in via definitiva, il fidanzato Alberto Stasi. Fino a quando nuove analisi su una traccia di DNA trovata sotto le unghie della vittima non hanno acceso i riflettori su Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, già sfiorato dalle passate indagini ma mai formalmente indagato.

Ma quanto la riapertura del caso è stata dettata dalla pressione mediatica? “Non c’entrano le trasmissioni televisive - afferma Nazzi ai microfoni della RSI -. Casomai sono state le indagini difensive, cioè della difesa di Alberto Stasi a portare la Procura ad approfondire nuovi elementi. Sono cambiati gli uomini della Procura. È cambiato il procuratore capo e sono cambiati i sostituti procuratori che, analizzando gli elementi di allora, hanno scoperto che alcuni non erano stati analizzati. Che forse alcune piste non erano state perseguite, controllate come avrebbero dovuto essere. Diciamo che è la Procura di oggi che smentisce in qualche modo e contesta il lavoro fatto dalla Procura di ieri”.

Sulla vicenda si sono accesi i riflettori ma, secondo il giornalista, rispetto al clamore di due decenni fa c’è un elemento nuovo, “perché rispetto al 2007 sono intervenuti anche i social, quindi è un grande cortocircuito in cui le notizie vere e false viaggiano senza verifica. Opinioni di chiunque. Ora è come se fosse inevitabile che ormai i processi si allargano, cioè non iniziano più col dibattimento nell’aula del tribunale, ma iniziano prima, sui media, sui social, con una pressione che in questo momento è enorme su tutte le parti coinvolte. Difesa, procura senza che ripeto, in questo momento ci siano certezze”.

La riapertura, o almeno il tentativo, come con il delitto di Erba, di riaprire, spettacolarizzandoli, casi ormai chiusi non è tuttavia un fenomeno solo italiano. Almeno, secondo Stefano Nazzi: “Credo che sia un fenomeno che riguarda anche molti altri Paesi. In Italia diciamo che questa della rivisitazione di storie passate è un filone narrativo che si è scoperto e che funziona. Ora, in alcuni casi come questo effettivamente ci sono delle cose che non tornano, non sono mai tornate dal tempo dei processi. In altri casi è tutto sempre molto pretestuoso”.

Sul caso Garlasco si è espresso anche il ministro italiano della Giustizia Carlo Nordio, che ha definito irragionevole la condanna di Stasi e criticato i magistrati. La possibilità che la vicenda venga usata come clava dalla politica per delegittimare ancora di più l’azione della magistratura, oggi già sotto forte attacco da parte del Governo, non è remota: “Oramai siamo abituati al fatto che sia la cronaca giudiziaria sia la cronaca nera vengano sfruttate politicamente - afferma il giornalista -. C’è una parte, anche mediatica, che approfitta di queste cose per attaccare la magistratura. La magistratura è fatta di uomini e qualcuno può sbagliare, tante altre volte no. E poi, ripetiamo sono gli stessi magistrati in questo caso a fare un’autocritica sul sistema. Che poi spunti sempre, in questo caso in Italia, la propaganda e il tornaconto politico da queste vicende... purtroppo è un altro di quegli elementi di cui dobbiamo tener conto”.

SEIDISERA del 27.05.25                

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