Sono passati sei mesi da quando, all’inizio di marzo, il primo ministro inglese Keir Starmer, ha annunciato a Londra la creazione della cosiddetta coalizione dei volenterosi, l’alleanza dei più stretti sostenitori di Kiev che ufficialmente raggruppa una trentina di paesi ed è trainata da Inghilterra, Germania e Francia. La mossa, sostenuta appunto dalle maggiori cancellerie continentali e dall’Unione Europea, era giunta dopo il cambiamento di strategia degli Stati Uniti, che con l’arrivo a gennaio a Washington di Donald Trump avevano mutato l’approccio nei confronti della Russia, puntando più sulla risoluzione del conflitto che sull’escalation.
Dopo il ripristino della linea diretta tra la Casa Bianca e il Cremlino a metà febbraio, il disastro diplomatico di Volodymyr Zelensky allo Studio ovale - nel primo incontro con il presidente statunitense - aveva fatto capire chiaramente il mutamento di rotta degli USA e fatto emergere la necessità di una reazione europea. In parallelo agli screzi transatlantici sulle questioni economiche, la coalizione dei volenterosi è sorta quindi come reazione alla nuova postura di Trump, tendente allo smarcamento sulla scacchiera ucraina, per sostenere Kiev nel conflitto anche nel caso di un disimpegno statunitense.
Gli aiuti militari insufficienti
Dalla fine dello scorso anno gli USA hanno sostanzialmente azzerato il supporto bellico e finanziario all’Ucraina, mentre l’Unione Europea e i paesi volenterosi hanno accresciuto gli aiuti, più dal punto di vista finanziario che militare, anche se di fronte agli oltre 167 miliardi di dollari stanziati complessivamente dall’inizio della guerra, a Kiev ne devono ancora arrivare 90 di quelli promessi. La questione del volume del sostegno continua però ad apparire secondaria rispetto alla qualità: l’appoggio militare dei volenterosi, quest’anno sotto Trump come del resto in precedenza sotto Joe Biden, è rimasto sempre insufficiente rispetto alle aspettative e alle richieste ucraine, soprattutto per ciò che riguarda le armi considerate possibili game changer, dai caccia da combattimento francesi Mirage ai missili a lunga gittata franco-britannici Scalp-Storm Shadow e ai tedeschi Taurus. Keir Starmer, al pari del presidente Emmanuel Macron e del cancelliere Friedrich Merz, ha in definitiva attuato nei fatti una linea più cauta di quella espressa a parole.
Il ritmo dettato da Putin
A livello militare il supporto europeo non si è alzato dal punto di vista qualitativo e come per gli anni passati è stato sufficiente solo per la difesa, per altro sempre più complicata, e non certo per la controffensiva, come desiderato da Zelensky. Se nell’autunno del 2022 il capo di Stato ucraino aveva annunciato la Formula di pace, che prevedeva colloqui con Mosca solo dopo il ritiro delle truppe del Cremlino dalla Crimea e dal Donbass, oggi il quadro è diverso: anche sul cosiddetto Piano della vittoria, presentato ancora a Biden nel settembre dello scorso anno, è stato abbandonato e Kiev e i volenterosi si trovano ora davanti a una situazione ancora più critica. Mentre Trump sembra aver abbandonato, almeno per il momento, l’idea di dure sanzioni contro la Russia, i 18 pacchetti comminati dall’Unione europea non hanno spostato di un millimetro Putin e le armi dei volenterosi paiono perciò spuntate: non è un caso che il Cremlino abbia fatto sino ad ora orecchie da mercante ai vari ultimatum arrivati da Bruxelles e dintorni e in realtà stia dettando il ritmo delle trattative.
Le posizioni diverse
L’impatto della coalizione degli zelanti sostenitori di Kiev sui negoziati è molto limitato, sia perché all’interno dell’alleanza le posizioni, nonostante le dichiarazioni di unità d’intenti, sono comunque diverse, ad esempio sull’invio di forze in Ucraina; sia perché le redini sono tenute in primo luogo tra Washington e Mosca, dove stanno i reali decision maker. La fine della proxy war in Ucraina verrà determinata, se e quando, con un accordo di base tra Stati Uniti e Russia, sul quale Kiev e i volenterosi potranno intervenire in maniera molto limitata. Il dossier sulle garanzie di sicurezza, in discussione anche nell’ultimo summit dello schieramento occidentale a Parigi, è un punto centrale per la risoluzione del conflitto, ma non può essere sviluppato senza il coinvolgimento della Russia: la nuova architettura di sicurezza continentale postbellica non potrà essere infatti costruita né senza né contro Mosca, altrimenti non potrà definirsi tale. L’impressione, mentre da un lato Casa Bianca e Cremlino discutono di futuro e di businnes as usual, è che l’Europa voglia rimanere sulle barricate, non fidandosi del Cremlino.
Da questo punto di vista l’attuale tattica elaborata tra Kiev, Bruxelles, Londra, Parigi e Berlino è destinata a naufragare, poiché la prospettiva adottata è esclusivamente eurocentrica. Senza la partecipazione delle Nazioni Unite e soprattutto della Cina, membro del Consiglio di sicurezza e saldo alleato della Russia, sarà difficile trovare una via d’uscita percorribile. A nulla servono inoltre le sonanti dichiarazioni sul sostegno incrollabile all’Ucraina e su sempre maggiori pressioni alla Russia, se a Kiev Mirage e Taurus non arrivano e le sanzioni non toccano veramente, senza possibilità di aggiramenti, settori fondamentali russi come quello energetico e finanziario. Il problema principale per la coalizione dei volenterosi, che in sei mesi ha prodotto ben poco ed è stata alla finestra, attendendo i passi della Casa Bianca, è quello della corrispondenza mancante fra l’espressione dei programmi e la consequenzialità dei fatti.

I volenterosi promettono garanzie di sicurezza a Kiev
Telegiornale 04.09.2025, 12:30