Far piovere quando manca acqua o garantire un cielo sereno durante un importante evento? C’è chi punta a poterlo fare, e in parte lo fa già. In Cina si è appena concluso un esperimento nello Kinjiang che ha visto protagonisti dei droni. Questi hanno raggiunto altitudini di 5’500 metri per la “semina delle nuvole”, una pratica che consiste nel rilasciare all’interno delle nuvole dello ioduro d’argento che spinge le nuvole a far piovere.
Non è la prima volta che si utilizza il composto chimico per questo scopo, ma secondo i ricercatori cinesi si tratta di una svolta tecnologica, in quanto i droni offrono minori rischi per la sicurezza, una manovrabilità superiore e una copertura estesa sulle attività di controllo atmosferico.
La Cina sta investendo moltissimo nei progetti di controllo atmosferico. Le iniziative includono la stimolazione della pioggia e della neve, la riduzione della grandine e la dispersione delle nubi. Non ci si limita a test isolati, ma c’è una strategia di lungo termine che mira a migliorare la sicurezza alimentare, sostenere l’agricoltura, combattere la siccità, prevenire gli incendi e migliorare la qualità dell’aria.
C’è però chi teme che l’uso prolungato e intensivo di sostanze chimiche per modificare la meteo possa avere un impatto negativo sugli ecosistemi e sulla qualità dell’acqua. E non mancano pure i dubbi geopolitici, con il possibile impatto causato più o meno volutamente sui Paesi confinanti e il rischio che il settore possa diventare un nuovo motivo di competizione tra le grandi potenze.
Tornando però sugli aspetti scientifici, Ulrike Lohmann, professoressa di fisica dell’atmosfera al Politecnico federale di Zurigo, frena gli entusiasmi. “La semina delle nuvole può funzionare solo quando sta comunque per piovere”, spiega. “Ci sono poschissime situazioni in cui l’inseminazione delle nuvole può avere un effetto e spesso è più che altro una questione di tempistica: piove un po’ prima o un po’ dopo”.
Nel caso del recente esperimento cinese: “Non sappiamo cosa sarebbe successo alla nube se non l’avessimo trattata. Forse avrebbe avuto da sé uno sviluppo verticale e avrebbe piovuto lo stesso”.
Riguardo alle preoccupazioni legato all’uso dello ioduro d’argento, la professoressa indica che “in piccole dosi non è problematico, perché ci sono fonti naturali nel terreno, ma se lo si impiega per decenni nella stessa zona, allora diventa un problema”