Il premier Anthony Albanese ha annunciato mercoledì l’intenzione del Governo australiano di vietare YouTube ai minori di 16 anni. Sarà loro possibile accedere, ma non disporre di un proprio account. “Vogliamo che i genitori sappiano che li sosteniamo”, ha affermato in conferenza stampa, mettendo sotto accusa gli “algoritmi predatori” che prendono di mira gli utenti più giovani della piattaforma. Per l’Esecutivo, oggi è su YouTube che i giovani corrono i rischi più grandi di adescamento, bullismo ed esposizione a contenuti dannosi.

Il premier australiano Anthony Albanese
Le modalità di applicazione della norma non sono state rese ancora note. Il Parlamento di Canberra aveva già adottato nel 2024 una legge che vieterà a chi non è ancora 16enne di servirsi dei social media come Facebook, Instagram, X e TikTok. YouTube rappresentava finora un’eccezione, ma con il nuovo annuncio verrà messo sullo stesso piano degli altri. I divieti entreranno in vigore il 10 dicembre e i trasgressori che non prenderanno “i provvedimenti necessari” per identificare i giovanissimi e impedire loro l’iscrizione, ha spiegato la ministra delle comunicazioni Anika Wells, saranno multati fino a 50 milioni di dollari australiani (poco più di 25 milioni di franchi). Le autorità australiane hanno già fatto sapere che non si faranno intimidire da eventuali cause legali intentate dai colossi statunitensi proprietari di queste piattaforme.
In una prima presa di posizione, YouTube ha fatto sapere di condividere la volontà di proteggere i ragazzi in rete da conseguenze quali dipendenza, isolamento sociale e disturbi del sonno, ma anche ribadito di essere una piattaforma di condivisione di video con contenuti “di libero accesso e alta qualità”, e non un social media.
Secondo il Governo di Albanese, tuttavia, può essere accomunato agli altri perché lì si crea una community e vengono suggeriti contenuti personalizzati. “In effetti”, ha commentato l’esperto Paolo Attivissimo ai microfoni di SEIDISERA della RSI, “avendo una sezione di commenti dove avvengono discussioni e litigi e si scambiano informazioni, è paragonabile a un social media tradizionale”, questo anche se “la parte video è centrale”. “La selezione dei video proposti automaticamente agli utenti è guidata da algoritmi”, ha spiegato ancora Attivissimo. Questo significa che a chi ha guardato e apprezzato un certo tipo di contenuto ne vengono proposti altri analoghi e questo “molto spesso può condurre a una spirale pericolosa e discendente (...) senza un equilibrio corretto delle informazioni”. Grandi società, “come Google nel caso di YouTube, fanno soldi sul disagio, con un effetto deleterio sulla società e sulle persone giovani e vulnerabili in particolare”. Il divieto di avere un account, e non di accedere, rende difficile “tracciare e profilare un utente”, oltre a trasmettere il messaggio ai genitori e ai ragazzi che “si tratta di un ambiente da usare con cautela”, preservando però la funzione educativa per esempio per le scuole, che utilizzano anche YouTube per l’insegnamento. Certo, commenta Attivissimo, “spiace arrivare al divieto” e bisogna essere coscienti che questo può essere aggirato, tuttavia bisogna essere consapevoli che “c’è un lato oscuro che bisogna cercare di contenere e quindi se la legge va in questo senso, ben venga”.

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In Svizzera un divieto analogo a quello voluto da Canberra - lo ricordiamo - non esiste, anche se le misure australiane hanno contribuito a una presa di coscienza che si riflette nei divieti di utilizzare il telefonino a scuola (e quindi anche i social) voluti da singoli istituti o cantoni come Argovia, Nidvaldo e Ginevra. Due consigliere agli Stati dei Verdi, Maya Graf e Céline Vara, hanno inoltrato in dicembre un postulato per proteggere i ragazzi dall’uso eccessivo degli smartphone, che era stato accolto tacitamente dalla Camera alta. Vi si evocavano, tra le possibili misure, il divieto di accesso prima dei 16 anni e la proibizione di questi apparecchi nelle scuole. Un punto, quest’ultimo, su cui il Consiglio federale - aveva spiegato Elisabeth Baume-Schneider - non intende pronunciarsi perché di competenza cantonale. Più recente una mozione dai contenuti simili, opera della consigliera nazionale del Centro Regina Durrer. Cofirmatario anche il suo compagno di partito, Giorgio Fonio, secondo il quale “i rischi sono conclamati”. Fra le richieste, in questo caso, anche quella di far contribuire le piattaforme stesse - attraverso le imposte - a un fondo destinato alla prevenzione dei danni che esse creano, giudicati da Fonio “notevoli”. Per il deputato ticinese, “a Berna la sensibilità sul tema è cambiata notevolmente. La priorità è proteggere i giovani e rendersi conto che questi strumenti creano dei danni che poi rischiano di pagare anche da adulti”.

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