Dopo oltre sei anni di gelo diplomatico, Messico e Spagna voltano pagina. Durante l’inaugurazione della mostra La mitad del mundo. La mujer en el México indígena all’Istituto Cervantes di Madrid, il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares ha riconosciuto “il dolore e l’ingiustizia” inflitti ai popoli originari durante il colonialismo ad opera della Spagna. È la prima volta che un alto rappresentante del governo spagnolo ammette pubblicamente le violenze del periodo coloniale. Non è ancora la richiesta di perdono che Città del Messico attende dal 2019, ma si tratta di un gesto politico e simbolico di grande valore.
La presidente messicana Claudia Sheinbaum, che ha raccolto l’eredità diplomatica del suo predecessore Andrés Manuel López Obrador, ha accolto con favore le parole del ministro spagnolo: “È un primo passo importante…Il perdono nobilita i popoli, non è umiliante. Al contrario. Riconoscere la storia, riconoscere i torti, chiedere perdono o esprimere rammarico e recuperare tutto ciò come parte della propria storia, nobilita i governi.”
La tensione tra i due Paesi esplose all’inizio del mandato di López Obrador, quando il presidente inviò una lettera al re Felipe VI e a papa Francesco chiedendo scuse formali per le violenze della colonizzazione. Se il Vaticano nel 2021 rispose con un atto di contrizione per “i peccati contro i popoli indigeni”, Madrid preferì il silenzio. Un silenzio che Città del Messico interpretò come un affronto, sfociato in una crisi diplomatica culminata nella mancato invito del sovrano all’insediamento di Sheinbaum. La Spagna definì il gesto “inaccettabile” e nessun rappresentante del governo partecipò alla cerimonia.
Le popolazioni indigene, tra promesse e dura realtà
La revisione storica e i riconoscimenti della popolazione indigena sono parte integrante della narrativa nazionalista di Morena, il partito fondato da López Obrador. Una narrativa che ha portato anche a importanti successi, ne è esempio la riforma costituzionale del 2024, che riconosce le comunità indigene e afromessicane come soggetti di diritto pubblico, garantendo autonomia, autogoverno e tutela delle lingue e del patrimonio bioculturale. Ma, se sulla carta rappresenta una svolta, nella pratica molte promesse restano irrealizzate. Le comunità denunciano mancanza di trasparenza, fondi non erogati e l’assenza di consultazioni reali. Secondo un recente studio dell’Istituto Nazionale di Statistica e Geografia, il 29% delle persone di lingua indigena vive in povertà estrema, contro una media nazionale del 5,3%.
López Obrador ha anche promosso grandi progetti infrastrutturali, oggi portati avanti da Sheinbaum, che avrebbero dovuto favorire lo sviluppo delle regioni indigene. Il Tren Maya, pensato per stimolare il turismo nelle zone di cultura Maya meno note, e il Tren Interoceánico, per collegare il Pacifico al Golfo del Messico, sono accusati di devastare ecosistemi e violare i diritti delle comunità locali. In Oaxaca, dove corre parte della linea interoceanica, sono aumentate le denunce di deforestazione, inquinamento e minacce ai difensori ambientali. L’assassinio del leader indigeno Arnoldo Nicolás Romero e i processi contro attivisti pacifici dimostrano la vulnerabilità di queste popolazioni. Molte opere sono state avviate senza studi ambientali completi né consultazioni libere e informate, come prevede la legge.
In questo contesto, la cultura si conferma il terreno meno controverso per fare progressi. Negli ultimi anni, il governo messicano ha puntato sul recupero del patrimonio preispanico, monitorando musei, collezioni e case d’asta internazionali ed esigendo la restituzione di artefatti. Dal 2018 a oggi sono stati riportati in patria 16’244 beni culturali, un risultato senza precedenti. Solo nei primi mesi dell’amministrazione Sheinbaum sono stati rimpatriati 2’082 reperti archeologici.
Non è un caso che proprio una mostra dedicata alle artiste indigene faccia da cornice alle parole del ministro Albares. L’arte diventa così il simbolo di una nuova diplomazia culturale, fatta di gesti e non solo di discorsi. Non sono ancora le scuse della corona, ma sono un segnale che in Messico viene accolto con favore. E mentre re Felipe VI non viaggia nel paese da quando ricevette la famosa lettera, la figlia ed erede al trono, Leonor Principessa delle Asturie, ha già espresso la volontà di visitarlo.






