“Poter dire di aver raggiunto le ultime vette o le profondità più estreme o nuovi pianeti, oggi non è più compito di uno scienziato, che studia, che programma a lungo una spedizione e che fa questa scoperta per il patrimonio dell’umanità. No, queste sono esperienze completamente soggettive, completamente finalizzate alla propria persona, completamente finalizzate a poter dire: “Io ho fatto questo, io ho fatto quello”. Senza che il fine sia un contributo alla civiltà umana”. Così Markus Krienke, professore di filosofia alla Facoltà di Teologia di Lugano, commenta ai microfoni della RSI la prima “passeggiata spaziale” privata della storia, quella che si è potuto permettere, giovedì 12 settembre 2024, un miliardario. Prima di lui altri super-ricchi si sono fatti portare sulle vette più alte del pianeta o negli abissi più profondi e, bisogna ricordarlo, alcuni hanno pagato con la vita queste costosissime imprese estreme. Tra gli episodi che più hanno fatto discutere, quello del mini-sommergibile Titan, imploso vicino al relitto del Titanic nel 2023. Una tragedia che ha causato la morte di tutte e cinque le persone a bordo.
La “passeggiata spaziale”, un’impresa al limite, denota anche narcisismo?
“Assolutamente sì. Tutte le tendenze di oggi, di per sé, non hanno niente di nuovo (gli esseri umani si sono spinti in ogni epoca, in tutte le culture, oltre quelli che, in qualche modo, vengono percepiti come i propri limiti), ma oggi tutto viene finalizzato sempre più verso il proprio ego, verso la propria lista delle ‘medaglie’, delle cose ‘che io ho fatto, che io ho raggiunto’. Non siamo più disposti a inserirci in un contesto dove queste dimensioni erano anche al servizio di una società, dell’Umanità in quanto tale. E per compiere queste imprese al limite vengono utilizzate somme ingenti, che potrebbero essere investite meglio, con senso più solidale, anche in vista di altre esigenze dell’Umanità. Vengono investite e completamente finalizzate, invece, per la realizzazione del proprio Io”.
Che fine ha fatto la responsabilità verso gli altri?
“Per carità, ognuno con le proprie ricchezze può fare quello che meglio ritiene. La libertà non deve essere diminuita, ma questa libertà l’individuo non la sente più associata a una responsabilità verso gli altri. Al posto della responsabilità per gli altri è subentrato, completamente, soltanto il proprio ego, il proprio Io. E questo rispecchia la nostra società. La tendenza di voler arrivare ai limiti fa parte della nostra natura, dipende un po’ come la canalizziamo... La morale, l’etica, è fatta per coltivare questa spinta che abbiamo. Quando non viene più coltivata, sfocia in un narcisismo, in un’eclissi del proprio Io”.
C’è anche un comportamento infantile in questi super-ricchi? Come i bambini quando dicono: “Io da grande farò l’astronauta, farò l’alpinista, farò…”
“Sì, perché vedere tutto il mondo riferito al proprio Io è un atteggiamento da bambini, un atteggiamento che viene superato con l’età adulta. Il passaggio dall’infantilismo all’età adulta è proprio il passaggio in cui imparo a inserire il mio Io all’interno di un Noi, all’interno di un mondo di valori e di consensi. Dove si trova equilibrio. L’idea di diventare astronauta, ovviamente, può anche essere un sogno di vita, ma qualora non si realizzi, allora non è che poi posso supplire con il mio denaro a questo sogno infranto. Questo vuol dire che non ho fatto i conti con la realtà e anche con la realizzazione che la mia vita effettivamente ha preso all’interno di una società. Non posso cercare di tornare indietro e di realizzare il mio sogno di diventare astronauta solo spendendo i miei soldi. Essere un astronauta non vuol dire farsi portare lì; un astronauta non “si fa” con tanti soldi. Un astronauta fa parte di un progetto, vi si inserisce con le proprie competenze, che richiedono tanta preparazione. Se la preparazione viene sostituita semplicemente dai soldi, quello che abbiamo sono due modelli sociali completamente agli antipodi”.
Questi super-ricchi mettono in conto di rischiare la propria vita?
“Le motivazioni saranno anche molto diverse da individuo a individuo, però non escluderei che proprio l’idea di affrontare la morte faccia parte dell’intensità dell’esperienza. Ogni esperienza estrema significa fare i propri conti con la morte, ecco perché ha un carattere, in qualche modo, religioso. In tutte queste esperienze al limite abbiamo anche forme di sostituzione della religione stessa, questo è fuori di dubbio”.
Questo apparentemente senza un percorso… in questi casi pare sia un’idea che potrebbe passare dalla sera alla mattina o tornare il giorno dopo. Oggi spendo i miei miliardi per andare nello spazio, domani chissà, vado nelle profondità dell’oceano e mercoledì magari mi faccio un giro sull’Everest…
“Assolutamente sì. I soldi hanno un po’ questa funzione, di sostituire percorsi lunghi, percorsi faticosi. Tutto quello che oggi, un individuo estremamente proiettato su se stesso, non vuole più affrontare (un po’ perché qualche volta non c’è neanche più il tempo). Non è che a una certa età, quando uno è diventato ricco, può tornare indietro e intraprendere la carriera di astronauta. I soldi, come vediamo in questo esempio, sostituiscono un processo. È la differenza tra percorsi professionali o anche tra meccanismi etici di una società, che non solo richiedono tempo, ma richiedono anche impegno, una progettazione. Percorsi che vengono abbreviati e sostituiti semplicemente dal denaro. Ecco perché chi investe le proprie risorse economiche solo in questa direzione, nella realizzazione di un desiderio completamente individuale, con questi soldi difficilmente produrrà risultati che potranno essere anche a vantaggio, alla fine, di tutti. Cioè il risultato di quella intrapresa, di quella esperienza estrema (qualora auspicabilmente non finisca con la morte) è completamente riportata solo sull’individuo stesso”.
Quale messaggio trasmettono le imprese compiute da questi paperoni?
“La mia non è una critica della coscienza di ciascuno di questi individui (perché dobbiamo sempre stare attenti a giudicare, dal di fuori, le scelte individuali), però è un segnale della nostra società in quanto tale, perché, se gli individui si sentono perfettamente legittimati a fare queste esperienze (perché pagano, non strumentalizzano altri, fanno tutto all’interno del perfettamente legittimo), proprio per questo danno un segnale di come noi ormai pensiamo alle nostre libertà e di come spesso abbiamo perso le vere domande che stavano alla base di queste libertà e oggi sono diventate meno... Questa non deve essere una critica di per sé al fatto che esistono super-ricchi e non deve essere una generalizzazione. Esistono molti super-ricchi (forse sempre di meno, ma esistono, per fortuna), che sentono la responsabilità della propria ricchezza e investono anche in progetti socialmente e moralmente utili. Qualche volta, anche chi con una parte della sua ricchezza fa questa esperienze estreme, con un’altra parte comunque contribuisce al bene comune. Queste due cose vanno sottolineate”.
C’è chi vorrebbe essere al posto del miliardario nello spazio, ma anche chi lo critica...
“Certamente perché ognuno, in una società tendenzialmente narcisistica, riportata sul proprio Io, vorrebbe essere nella situazione di colui che si può permettere quest’esperienza estrema. Bisogna dire che probabilmente nessuno di quelli che dicono ‘Ah, guarda lui dove è andato’ avrebbe poi veramente il coraggio di fare la stessa esperienza. Quindi c’è un mix. Non c’è soltanto l’invidia: ‘Guarda quello che cosa può fare con i suoi soldi’, ma anche: ‘Guarda che cosa ha avuto anche il coraggio di fare’. E ovviamente in questa dinamica ognuno vorrebbe un po’ vedersi nella situazione di questo o di questa qui. Certo dipende anche dal tipo di esperienza. Ad esempio, nel caso del sommergibile, credo che la maggior parte non abbia avuto una comprensione... andare all’interno di una sfera, a qualche migliaia di metri sott’acqua… credo che qui abbia prevalso l’idea che i passeggeri a bordo siano stati sconsiderati. Mentre in altre esperienze, nello spazio, ovviamente la dimensione e la reazione di ammirazione è certamente più articolata”.
Torniamo alla critica da parte della società… e a quanti non sono disposti a spendere soldi pubblici per andare in soccorso di chi si mette in pericolo...
“Una critica si esprime non direttamente, ma indirettamente, nel momento in cui si mette in dubbio che queste persone debbano essere aiutate con soldi pubblici… Si è sempre più dell’opinione che se uno vuole mettere a rischio la propria vita, non deve poi pesare sulla società. Questo è vero come principio: se ognuno decide per sé, ognuno deve anche poi sopportare le conseguenze di quello che fa. Però, almeno questa è la mia idea, la solidarietà non deve essere cancellata nel momento in cui succede qualcosa. E forse questo è anche un principio cristiano, quello di non interrompere mai la solidarietà nei confronti di nessuno. Anche se costui va verso gli estremi e questi estremi forse non sono condivisi”.
Queste imprese estreme ed estremamente costose, d’altronde, evidenziano squilibri sociali…
“Più aumentano questi fenomeni, più ovviamente vediamo davanti ai nostri occhi determinati squilibri sociali, che ci sono… Rendono visibile, sempre di più, un distacco tra i diversi gruppi della società e quindi portano a un indebolimento della società stessa. E probabilmente portano anche a un risentimento nei confronti della ricchezza altrui. Io sono dell’avviso - perché di base sono un liberale - che questo risentimento verso la ricchezza non ci dovrebbe essere: chi è ricco e si è guadagnato la ricchezza... va bene, e questo non giustifica l’invidia degli altri. Ma più aumentano le estremità di queste differenze, più un risentimento naturale si genera nella società. E questo porterà a ulteriori divisioni”.
Quali sono le ricette per evitare queste contrapposizioni sociali?
“A livello sociale, quindi anche a livello macro, se parliamo di piani politici, ne vedo sempre meno, perché gestiamo le nostre sfide sempre con una gestione a breve termine. Si tende soltanto a tappare i buchi (intervenendo dove i disagi sociali sono più visibili, sono più grandi). Non esiste più un progetto di società. Non voglio essere frainteso. Non possono essere progetti di società in senso socialistico o politico di imposizione, ma un progetto di società condivisa tra tutti. Quindi quello che comunemente chiamiamo il ‘bene comune’. Nella misura in cui quelle tendenze della società (lo vediamo quotidianamente) diventano sempre più disomogenee, vanno verso direzioni sempre meno conciliabili che si esprimono anche attraverso i vari temi politici, morali, sociali, economici, finanziari. In questo caso una società è sempre meno integrabile. L’idea di una società integrata, come esisteva nel passato, non c’è più. Il futuro è una società che deve gestire le disparità, che deve gestire le differenze. E questo ovviamente è molto difficile. Quindi ricette in questo senso non ce ne sono in questo momento. C’è l’esigenza funzionale di gestire le disparità”.
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Telegiornale 12.09.2024, 20:00