Separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, che avranno percorsi diversi e non interscambiabili: chi intraprenderà uno, non potrà poi passare all’altro. È questo il punto cardine della riforma della giustizia accolta giovedì in quarta lettura dal Senato italiano con 112 voti a favore, 59 contrari e 9 astensioni. La norma di otto articoli prevede anche - di conseguenza - due distinti consigli superiori della magistratura composti per due terzi da togati e per un terzo da non magistrati, estratti a sorte. Si introduce poi una Alta Corte disciplinare chiamata a sanzionare gli errori nell’esercizio della giustizia, un punto non irrilevante perché fin qui lasciato all’autogoverno dei magistrati stessi.
Si tratta di una modifica costituzionale voluta fortemente da Giorgia Meloni e dal guardasigilli Carlo Nordio, ma in realtà da tutto il centrodestra sin dai tempi di Silvio Berlusconi, al quale la figlia Marina ma anche parlamentari di Forza Italia hanno dedicato quella che viene definita “una vittoria storica”. La riforma ha superato l’iter parlamentare senza modifiche ma non ha ottenuto il quorum dei due terzi dei “sì”: per questo motivo in primavera si renderà necessario un referendum confermativo.
“Penso che la riforma della giustizia rappresenti un’occasione storica di avere una giustizia più efficiente e più giusta. Sono norme di buon senso”, ha detto la premier. Per l’opposizione, è invece un tentativo di imbavagliare la magistratura: “L’obiettivo non è aiutare gli italiani o migliorare la giustizia, ma servire al Governo per avere mani libere”, secondo la segretaria del PD Elly Schlein.







