La coalizione di governo battezzata a Bucarest lo scorso anno poco prima di Natale naviga in acque pericolose. Le dimissioni del premier Marcel Ciolacu, giunte dopo la sconfitta alle presidenziali di Crin Antonescu, candidato comune dei partiti al potere, i socialdemocratici del Psd e i nazionalliberali del Pdl, hanno aperto ufficialmente la crisi che negli scorsi mesi si era in ogni caso fatta evidente. La debolezza dell’asse delle due formazioni di governo, sorrette anche dal Rdmsz, il partito della minoranza ungherese, è esplosa di fronte all’esclusione dal ballottaggio di Antonescu e Ciolacu non ha potuto fare che prenderne atto, passando il testimone provvisoriamente al ministro degli Interni Catalin Predoiu, che secondo la Costituzione potrà reggere il governo per 45 giorni, durante i quali il parlamento a Bucarest dovrà trovare una soluzione alla crisi.
Il Paese sospeso
La Romania si ritrova dunque sospesa, considerando anche il fatto che in attesa del secondo turno delle presidenziali in calendario il 18 maggio, in cui ci sfideranno il nazionalpopulista George Simion e il moderato sindaco della capitale Nicusor Dan, il paese è retto ad interim da Ilie Bolojan, presidente del Senato che ha preso il posto di Klaus Johannis, dimessosi anticipatamente a febbraio, dopo il tentativo dell’opposizione di metterlo in stato d’accusa. Il periodo di crisi politico-istituzionale era cominciato già dopo l’annullamento del primo turno delle presidenziali del 24 novembre, sancito dalla Corte costituzionale sulla base di un rapporto dei servizi segreti che aveva accusato il vincitore Calin Georgescu di illegalità durante la campagna elettorale. Dalle elezioni parlamentari del 1° dicembre era nato il governo tra Psd, Pnl e Edmsz, guidato da Ciolacu.
Gli equilibri in bilico
Il voto dello scorso anno è stato in realtà una sconfitta per i due maggiori partiti governativi, che sia alla Camera che al Senato hanno dovuto cedere seggi all’opposizione di destra, soprattutto all’Aur, il partito guidato da Simion, che al primo turno delle presidenziali ha raccolto oltre il 40%, catalizzando anche gli elettori orfani di Georgescu, bannato dalla possibilità di competere. Il governo Ciolacu, nato quindi già fragile, ha dovuto prima affrontare le dimissioni di Johannis e in seguito appunto il disastro con l’eliminazione di Antonescu.
Dopo decenni in cui il capo dello Stato è arrivato dalle fila del Psd o del Pdl, ora gli equilibri cambieranno e resta da vedere se anche in parlamento il terremoto avrà conseguenze: se sino ad ora ci sono state sempre corrispondenze politiche tra presidenti e governi, il rischio per la già complicata stabilità rumena è che all’attuale governo moderato si affianchi un capo dello Stato radicale come Simion; ancor più profonda sarebbe la frattura con il passato se l’eventuale vittoria del leader dell’Aur spostasse la maggioranza in parlamento al favore dell’ultradestra.
Le conseguenze esterne
Già solo l’entrata di George Simion a Palazzo Cotocreni, la sede del presidente a Bucarest, avrebbe in ogni caso conseguenze anche esterne alla Romania. L’ascesa del nazionalpopulismo di destra come quello del presidente dell’Aur o del suo alleato Calin Georgescu, ha messo in allarme l’Unione Europea che, soprattutto in questi anni di polarizzazione dovuti alla guerra tra Russia e Ucraina, guarda con scetticismo le figure e i movimenti che si oppongono al sistema, appoggiandosi ideologicamente non solo a Mosca, ma anche a Washington: l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, con il modello autoritario fornito dal nuovo presidente, è visto con favore dai leader nazionalpoulisti del Vecchio continente. E non è un caso che reciprocamente dagli Stati Uniti in questi mesi siano arrivate voci di sostegno prima a Georgescu e poi allo stesso Simion.
Il modello Orban
La spaccatura rumena, come quelle analoghe in altri paesi europei, non è tanto tra partiti europeisti e filorussi - anche se naturalmente la distinzione esiste, ma non è fondamentale - quanto tra forze tradizionali, di conservazione, e forze anti-sistema e comunque di cambiamento. Si tratta principalmente di scontri interni che troppo semplicisticamente vengono declinati in maniera strumentale. Partiti di estrema destra che erano all’opposizione, su posizioni per così dire filorusse, come Forza Italia o Fratelli d’Italia a Roma, una volta al governo hanno seguito una linea europeista e atlantista. Lo stesso schema sarà quello che seguirà Simion, come ha confermato direttamente dopo la vittoria al primo turno. Che la Romania possa spostarsi radicalmente fuori dall’Unione Europea e della Nato non appare un’opzione realistica, prendendo anche esempio dai casi estremi come quello di Victor Orban in Ungheria, dove la politica estera è rimasta concretamente incanalata nei binari occidentali, dentro Ue e Alleanza Transatlantica, al di là di una narrazione funzionale al mantenimento del potere interno.

Romania: sarà ballottaggio
Telegiornale 05.05.2025, 12:30