Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali in Romania ha visto il trionfo di George Simion, candidato dell’Aur (Alleanza per l’unione dei rumeni), partito di estrema destra, che ha sfondato la soglia del 40%. Sul filo di lana, il secondo posto se lo è aggiudicato Nicusor Dan, 21%, attuale sindaco di Bucarest, indipendente, che ha battuto per un pugno di voti Crin Antonescu, sostenuto dai due grandi partiti di governo, il Pnl (Partito nazionalliberale) e il Psd (Partito socialdemocratico). L’affluenza alle urne è stata del 52%, in linea con le elezioni precedenti. Fin qui i numeri semplici. Al ballottaggio fra due settimane saranno dunque due esponenti fuori dagli schemi a contendersi l’ingresso a Palazzo Cotroceni, sede del presidente rumeno.
Voto anti establishment
Le cifre del voto di domenica, sia il 40% di Simion che il 21% di Dan, a cui si deve aggiungere il 13% di Victor Ponta, altro indipendente schierato a destra e quarto arrivato, danno la dimensione di quanto gli elettori rumeni, almeno la metà o poco più di quelli che sono andati a votare, abbiano scelto il cambiamento, dando la preferenza a candidati per così dire anti-sistemici, mentre solo un quinto dei votanti si è espresso a favore del rappresentante dell’establishment che negli scorsi decenni ha dominato la scena politica del paese; il terzo posto di Antonescu rappresenta la sconfitta dei partiti del potere, che già avevano rischiato il tonfo lo scorso novembre, quando l’allora candidato Marcel Ciolacu era rimasto fuori dai giochi, dietro Calin Georgescu ed Elena Lasconi.
Europeisti contro filorussi?
La ripetizione del primo turno, annullato a dicembre dalla Corte costituzionale dopo che un rapporto dei servizi segreti aveva messo in dubbio la correttezza della campagna elettorale di Georgescu, accusato ufficialmente di irregolarità finanziarie, non ha cambiato molto: Pnl e Psd, al momento sempre al governo in una coalizione guidata proprio da Ciolacu, devono così arrendersi ai volti nuovi, o presunti tali, in un paese che in ogni caso ha dato un segnale chiaro di rottura verso il passato. Circa due terzi dell’elettorato hanno scelto la novità e gli sviluppi degli ultimi mesi, dopo l’invalidamento del voto del 24 novembre, non hanno certo giovato allo schieramento che con troppa semplicità giornalistica viene definito europeista, rispetto a quello della destra populista che altrettanto riduttivamente viene presentato come filorusso.
Elettorato complesso
La realtà dell’elettorato rumeno e dei partiti che tentano di rappresentarlo è molto complessa, in un paese che in ogni caso è un membro solido dell’Unione Europea e della Nato. La democrazia di Bucarest, giovane come tutte quelle rinate nel Vecchio continente dopo la dissoluzione dell’Urss e del blocco sovietico nel 1991, è rimasta però fragile nel tempo, dominata da un’élite che ha comunque permesso che il più grande problema, la corruzione, non venisse mai affrontato: la Romania è da sempre tra i fanalini di coda dei paesi europei secondo Transparency International (al 65esimo posto al mondo, su 180 paesi) e nel corso dei decenni il sistema di potere nazionale e locale si è mantenuto e allargato in questa cornice. La crescita dell’opposizione al sostanziale duopolio costruito da Pnl e Psd, con la stampella del partito della minoranza ungherese (Rmdsz) si è manifestata in queste elezioni sia a destra, con il trionfo annunciato del nazionalpopulista Simion, che al centro, in primo luogo con il borgomastro della capitale Dan.
Verso il ballottaggio
Nel quadro di un paese in difficoltà, per la media europea povero e corrotto, e con la polarizzazione sia interna che internazionale cresciuta dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’avanzata dell’estremista Simion non è una sorpresa. Il suo 40% deriva anche dal fatto che l’esclusione di Georgescu ha rafforzato il fronte nazionalpopulista e si inserisce comunque in una tendenza che dappertutto vede i movimenti nazionalisti e populisti in ascesa. Il duello il 18 maggio tra Simion e Dan sarà in ogni caso simbolico, visto che il nuovo presidente rumeno arriverà per la prima volta da un’area considerata di opposizione. Fermo restando che il ruolo del capo dello Stato a Bucarest, dove vige un sistema semi-presidenziale, non è decisivo come in altri contesti. Vincerà alla fine chi riuscirà a mobilitare più elettori, considerando anche che quasi la metà al primo turno è rimasta a casa.

Romania al voto, estrema destra in vantaggio
Telegiornale 04.05.2025, 20:00