Reportage

Ruanda, dall’orrore alla speranza

A trent’anni di distanza dal genocidio, Falò ha raccolto le testimonianze di alcuni sopravvissuti che parlano del tema della “riconciliazione”

  • 7 aprile, 06:48
  • 7 aprile, 09:39
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Dall'orrore alla speranza

Falò 04.04.2024, 22:15

Di: Giovanni Porzio/Falò

Trent’anni fa, il 6 aprile 1994, aveva inizio una delle tragedie più terrificanti del Novecento: il genocidio del Ruanda. In meno di cento giorni l’esercito e le milizie paramilitari hutu sterminarono a colpi di Kalashnikov e di machete quasi un milione di civili inermi: uomini, donne, vecchi e bambini di etnia tutsi.

Nessuno intervenne per fermare il massacro. Gli Stati Uniti, reduci dalla batosta subita in Somalia, non si mossero. I caschi blu dell’Onu presenti nel Paese restarono a guardare. La Francia, che sosteneva il regime di Kigali, e il Belgio, l’ex potenza coloniale, si preoccuparono solo di evacuare i connazionali. La mattanza ebbe fine solo ai primi di luglio, quando il Fronte patriottico ruandese – una formazione militare scaturita dalla diaspora tutsi in Uganda, guidata da Paul Kagame – riuscì a impadronirsi di buona parte del Paese fino a conquistare la capitale Kigali.

L’odio che divideva le due etnie era stato fomentato per decenni dai colonizzatori tedeschi e belgi che avevano dapprima favorito l’élite tutsi e poi, quando nel 1959 scoppiò la rivolta degli hutu, l’85 per cento dei ruandesi, abbandonarono gli ex alleati al loro destino: 150 mila tutsi furono uccisi nei pogrom che si succedettero fino all’indipendenza nel 1962. Ma la definitiva resa dei conti era solo rimandata.

Oggi, mentre Kigali si appresta a commemorare il trentennale del genocidio, il trauma di quei giorni è ancora vivo, ma le ferite si stanno lentamente rimarginando. Il Ruanda è cambiato. La maggior parte della popolazione è nata dopo il 1994. Migliaia di génocidaires che hanno scontato la pena sono tornati a vivere accanto alle famiglie delle loro vittime e ai sopravvissuti. L’economia è in crescita, anche se rimangono forti squilibri sociali. E Kagame, leader autocratico di un regime che non tollera il dissenso, ha posto la riconciliazione nazionale al centro del programma del governo.

In Ruanda siamo stati nelle chiese dove migliaia di persone furono trucidate e dove ancora si raccolgono i resti delle vittime che continuano ad affiorare dai campi e dalle fosse comuni. Abbiamo raccolto le testimonianze di madre Félicité, della congregazione svizzera delle Suore Ospedaliere di Santa Marta, e del presidente dell’Associazione dei sopravvissuti al genocidio. Siamo andati a Mbyo, uno dei “villaggi della riconciliazione”, e abbiamo incontrato Laurence e Aloys: lei una vittima, lui il killer che la inseguiva. Lei ha trovato la forza di perdonare, lui il coraggio di pentirsi.

Rwanda, trent’anni dopo     

Falò 04.04.2024, 21:45

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