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Spese per la difesa al 5%? Impossibile per molti Paesi

Un balzo enorme delle spese militari creerà problemi: a rischio anche istruzione, sanità, pensioni. La paura dei governi di perdere voti - L’intervista ad Antonio Villafranca, vicepresidente ISPI

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NATO: le considerazioni di Antonio Villafranca dell'ISPI

SEIDISERA 25.06.2025, 18:00

  • Keystone (foto d'archivio)
Di: SEIDISERA/M. Ang. 

“Io non credo effettivamente che tutti i Paesi arriveranno al 5% del PIL per le spese militari. Va ricordato, peraltro, che il 5% è complessivo, perché per le spese militari e di difesa si prescrive che si raggiunga entro il 2035 il 3,5% del PIL, mentre il restante 1,5% vale anche per le infrastrutture, che possono servire anche per scopi civili”. Così, ai microfoni di SEIDISERA, Antonio Villafranca, vicepresidente dell’ISPI, l’istituto per gli studi di politica internazionale, dove dirige l’Osservatorio per l’Europa.

Secondo Villafranca quello su cui bisogna concentrarsi, dunque, è soprattutto il 3,5%, “che è comunque un obiettivo difficilissimo da raggiungere per molti Stati”. L’esperto cita l’Italia che, ad esempio, parte dall’1,5% del PIL (la spesa attuale per la difesa): “vuol dire circa 33 miliardi. Per arrivare al 3,5% l’Italia dovrebbe spendere, ogni anno, ulteriori 44 miliardi. Consideriamo che l’Italia spende in istruzione (dalla scuola materna all’università) circa il 4% del PIL, cioè 88 miliardi. Pensare che ci possa essere un balzo così enorme e senza che questo crei un problema sulle altre spese dello Stato, sul welfare ma anche ovviamente sul debito pubblico, mi pare impossibile”.              

La Spagna contraria e i Paesi in difficoltà

“La Spagna adesso ha una spesa militare addirittura inferiore a quella dell’Italia (il valore spagnolo è dell’1,3%): quindi è evidente che c’è una resistenza da parte di Sanchez a partire dall’1,3% per arrivare al 3,5% (e con le infrastrutture al 5%). È un incremento notevolissimo, che non ci possiamo permettere. Ma questo vale un po’ per tutti quei Paesi che stanno spendendo al momento poco: la Slovenia, il Lussemburgo (per quanto piccolissimo), il Belgio, il Canada (che spende l’1,4%) ... Sono tutti Paesi che troveranno sicuramente difficoltà nel raggiungere questo obiettivo. Ma c’è anche un altro elemento da considerare: quello che la gente effettivamente vuole. In Europa abbiamo alcuni Paesi, soprattutto dell’Est, nei quali la gente avverte di più il rischio sulla sicurezza; i sondaggi dicono che c’è una maggiore propensione alla spesa militare da parte dei cittadini. Fanalino di coda in tutta Europa per la propensione della gente ad aumentare le spese militari è invece l’Italia. Quindi diventa ancora più complicato, al di là delle difficoltà finanziarie, far passare una politica che prevede un aumento così enorme delle spese militari in un Paese in cui la stragrande maggioranza della gente non lo vuole”.

I governi e la paura di non essere rieletti

Non c’è un consenso unanime al riarmo europeo, ci sono resistenze all’interno dei singoli Paesi, come abbiamo visto nelle manifestazioni dello scorso weekend a Roma, a Madrid, all’Aja. E Villafranca ritiene che queste voci dissenzienti possano avere un peso enorme. “Qualsiasi governo (che sia di centrosinistra o di centrodestra o di sinistra o di destra), ha un obiettivo principale: quello di essere rieletto. E se la stragrande maggioranza, come accade ad esempio in Italia, è contraria a un aumento così considerevole di spese militari, qualsiasi governo deve tener conto del fatto che la gente punirà con il prossimo voto l’atteggiamento di alzare enormemente le spese militari. Anche a scapito eventualmente di altre spese, come quelle che riguardano il welfare e quindi l’istruzione, la sanità e le pensioni”.
                

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