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Tra i profughi in Croazia

Brigitte Latella torna, a distanza di tre mesi, sulla rotta balcanica battuta da migliaia di persone in fuga

  • 18 dicembre 2015, 21:20
  • 7 giugno, 14:11

Il reportage di Brigitte Latella

Di Brigitte Latella

“Sono stata in Croazia per riferire della crisi dei migranti lo scorso settembre, ed eccomi di nuovo qua, non lontano dal confine da cui ho visto passare centinaia e centinaia di persone poco meno di tre mesi fa. Allora c’era il sole, faceva quasi caldo e le frontiere tra Serbia ed Ungheria erano state chiuse da poco. A Tovarnik, in Croazia, avevo trovato il caos. Centinaia, migliaia di persone che aspettavano un treno o un bus. Alcuni li avevo incrociati sperduti tra i campi: non sapevano nemmeno che alcuni confini erano stati chiusi.

L’aiuto era garantito – come qui a Slavonski Brod, dove mi trovo ora – dalle organizzazioni umanitarie e da decine di volontari. Questo è il più grande campo profughi della Croazia, l’unico veramente attrezzato per far fronte all’inverno e sembra che in queste settimane siano riusciti ad organizzarsi. Ci sono medici, interpreti, squadre che provvedono alla pulizia continua del posto. Ma soprattutto ci sono i profughi: arrivano ad un migliaio per volta.

Un’organizzazione consentita anche dagli accordi instaurati tra Serbia, Croazia e Slovenia, che se su alcuni fronti sembrano farsi la guerra – soprattutto per accontentare un certo populismo strisciante – si sono invece messe d’accordo. La Serbia organizza scaglioni di migranti e avvisa la Croazia quando stanno per partire e questa fa lo stesso con la Slovenia, che provvede poi a far loro proseguire il viaggio verso l’Austria e poi chissà, forse ancora più a nord. Come a settembre, ci sono gruppi di profughi più organizzati, partiti magari con qualche soldo in più da parte e guidati da chi sa un po’ d’inglese. Poi ci sono quelli che portano con se quel poco che hanno e che di solito arrivano da più lontano. Hanno fatto più fatica e per loro, che conoscono solo la propria lingua, è tutto più difficile, non riescono a farsi aiutare, anche se la mano tesa è là. Poi, tutti gli altri. Più o meno organizzati, più o meno disperati. Ad unirli, solo la voglia di lasciarsi alle spalle le difficoltà e ricostruirsi una vita in quell’altrove che glielo permetterà.”

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