PILLOLE DI COLORE (3/5)

I colori influenzano davvero la nostra mente?

Tradizioni secolari ci hanno convinto che a ogni tonalità corrisponda un particolare effetto sul nostro organismo. Scopriamo cosa ne pensa la scienza

  • Oggi, 17:30
  • Oggi, 17:33
ARCOBALENO, COLORI, BAMBINO, DISEGNO

La nostra percezione dei colori è influenzata dalle esperienze personali e dalla memoria

  • Istock
Di: red. Matteo Martelli/giardino di Albert  

Il rosso accelera il battito cardiaco, il blu rasserena, il verde favorisce il sonno. Spesso sentiamo parlare di effetti dei colori sul nostro corpo e la nostra psiche, tanto che questi vengono impiegati negli ambiti più disparati, dalla cromoterapia ai consigli di arredamento per le proprie camere da letto. Ma quanto c’è di vero in queste affermazioni? 

Il colore non esiste

La percezione del colore è un’esperienza affascinante e al contempo estremamente complessa, così come complesso e per molti versi indecifrabile è il funzionamento del nostro sistema nervoso. Il colore infatti non è altro che un’elaborazione da parte del nostro sistema occhio-cervello della luce riflessa dagli oggetti che osserviamo: a ogni colore corrisponde una frequenza d’onda, un segnale che, passando dai fotorecettori della retina e dal nostro nervo ottico, giunge nella corteccia visiva, area del nostro cervello deputata all’interpretazione, appunto, dei colori.

In questo senso, il colore non esiste di per sé, ma si percepisce, e il “vero” colore di un oggetto è un’esperienza puramente soggettiva legata a una regione ben precisa della nostra corteccia cerebrale. È corretto quindi dire a ogni colore si può associare un effetto più o meno benefico sulle nostre emozioni e quindi sul nostro organismo?

Pillole di colore

La serie “pillole di colore” della redazione digitale del giardino di Albert cerca di rispondere alle domande più insolite e curiose legate al colore nella nostra quotidianità: a che serve il colore in natura? I colori possono davvero influenzare la nostra mente? E com’è riuscito Homo sapiens a produrli nelle varie epoche? Scopri il contributo video legato a quest’articolo dalla pagina Facebook di RSI Cultura!

Gli effetti non visivi del colore

Per restare su una metafora cromatica, si potrebbe dire che non è tutto bianco o nero. Innanzitutto, possiamo dire con certezza che l’asse occhio – cervello non ha una semplice funzione visiva. Studi hanno dimostrato che, accanto alla via “classica” dei segnali luminosi che dai fotorecettori porta all’area del nostro cervello dove si producono gli effetti visivi del colore, esiste un secondo tragitto, che da speciali cellule della retina - le cellule gangliari - conduce a un’altra regione: l’ipotalamo. Ed è qui che si producono gli effetti non visivi del colore, un ambito in cui la scienza indaga da solo qualche decennio.

Questa piccola ma importante regione del nostro cervello svolge un ruolo di controllo di diverse funzioni vitali, come il ciclo sonno-veglia, l’appetito, la sete o le risposte emotive. È stato dimostrato che particolari lunghezze d’onda che corrispondo alle tonalità di blu interferiscono con la produzione ormonale: l’esposizione alla luce blu al mattino stimola il rilascio di cortisolo, che ci aiuta a svegliarci; viceversa, l’esposizione di sera a queste tonalità tipicamente emesse da smartphone e altri dispositivi elettronici può influire sulla qualità del sonno, perché inibisce la produzione di melatonina.

Ogni altro esperimento volto a dimostrare gli effetti dei colori sul nostro corpo e la nostra mente ha fornito a oggi prove non sempre convincenti e spesso in contraddizione fra loro. C’è innanzitutto un nodo fondamentale da sciogliere: la nostra percezione del colore è innata, o influenzata dalle nostre memorie e dalle esperienze personali, o, per dirla in altre parole, dal contesto storico, sociale e culturale a cui apparteniamo?

In Giappone, studi condotti su neonati tra i cinque e sette mesi d’età hanno rivelato che i colori possono generare risposte cerebrali simili a quelli degli adulti, segno che la percezione dei colori potrebbe avere una base universale. Nell’ambito della ricerca sulla percezione dei colori, le prove più classiche di sperimentazione con adulti prevedono di far entrare delle persone in una stanza dalle determinate tonalità, dalle più calde alle più fredde, misurandone le reazioni fisiologiche. Studi hanno provato che in una stanza di colore rosso, il battito cardiaco dei partecipanti accelera, il che lascerebbe presupporre un certo grado di eccitabilità associabile a questa particolare tonalità.

In realtà, come sottolinea Riccardo Falcinelli, docente di psicologia della percezione e autore di “Cromorama – Come il colore ha cambiato il nostro sguardo” (Einaudi, 2017), questo cambio di stato ha una durata limitata, e l’organismo ritorna presto allo stato originario. Si può quindi presupporre che l’attività metabolica del soggetto possa essere influenzata da altri fattori, come il cambio di scenario o la sensazione di claustrofobia: colori come il rosso tendono infatti a restringere gli spazi. Insomma: il contesto non è mai neutro. “Del resto – evidenza Falcinelli – Un liquido rugginoso risulta ributtante se lo vediamo sgorgare dal lavandino del bagno, sebbene abbia la stessa lunghezza d’onda del più suggestivo dei tramonti. […] Un colore è sempre colore di qualche cosa”.

Basta poi spostarsi un po’ più a Oriente per scoprire che in Cina l’amore appassionato – che noi associamo appunto al colore rosso – è rappresentato da tonalità più delicate, come il rosa e il celeste. O ancora, gli eschimesi hanno dieci modi differenti per definire le diverse gradazioni di bianco. In questo senso, anche i fattori culturali e geografici influenzano il significato che associamo a un colore, e la presunta percezione che ne deriva.  

Dossier: storia e vita dei colori

Il Dossier questa settimana prende le mosse da una lunga intervista a Michel Pastoureau, autore del saggio "Rosa. Storia di un colore"

  • Rosa, paradigma dei falsi miti (1./5)

    Alphaville 25.11.2024, 12:05

    • Bianda Enrico
  • Bianco, tra candore e severità (2./5)

    Alphaville 26.11.2024, 12:05

    • Enrico Bianda
  • Nero, il colore della Bestia (3./5)

    Alphaville 27.11.2024, 12:05

    • Enrico Bianda
  • Verde, fra simbolismo e ambiguità (4./5)

    Alphaville 28.11.2024, 12:05

    • Lina Simoneschi Finocchiaro
  • Rosso (5./5)

    Alphaville 29.11.2024, 12:05

    • Lina Simoneschi

Si potrebbe obiettare che esistono spazi, come gli ospedali, che volutamente puntano su tonalità fredde per sfruttare il potere calmante di questi colori, ma anche in questo caso, esiste una spiegazione prevalentemente tecnica, come ricorda sempre Riccardo Falcinelli nel suo libro: dopo aver fissato le immagini rosse del sangue, il verde-azzurro delle sale operatorie e dei camici funge da contrasto cromatico come colore complementare, e aiuta i medici a mantenere la concentrazione. Una convenzione, questa, piuttosto recente: fino all’Ottocento, gli ospedali erano rigorosamente bianchi.

Nel 2009, alla fermata della linea ferroviaria Yamanote di Tokyo sono state installate luci blu al fine di ridurre l’incidenza dei suicidi. L’ipotesi, è che il potere calmante di questa tonalità possa rendere le persone meno impulsive. In effetti, i suicidi sono diminuiti del 74%. Secondo Stephen Westland, Professore di Scienza e tecnologia del colore all’Università inglese di Leeds, ci sono tuttavia ancora poche prove scientifiche a supporto di queste supposizioni, e altri tentativi non hanno fornito risultati simili.  

Neuroscienze, marketing e colore

Decidersi fra una percezione innata o acquisita del colore resta impresa ardua, anzi, come sottolinea Falcinelli, si tratta probabilmente di una distinzione “troppo rigida per spiegare fenomeni complessi come quelli cognitivi”. Certo è che sempre di più la ricerca scientifica si avvicina a queste tematiche.

Un esempio è quello delle neuroscienze. Anche se non è chiaro quale effetto producano i singoli colori sulla nostra mente, sappiamo ad esempio che determinate tonalità, come il rosso, l’arancione e il verde, stimolano molto i nostri neuroni.  Secondo il visual designer Riccardo Falcinelli, questo può essere legato al maggior numero di fotorecettori in fondo al nostro occhio predisposti per elaborarli.

Nelle nostre società industrializzate, queste informazioni vengono sempre più prese in considerazione dalle aziende, che vogliono spingere il consumatore all’acquisto anche grazie ai colori. Ne è nata anche una disciplina: è il neuromarketing, che attraverso tecniche scientifiche come l’elettroencefalogramma (EEG), la risonanza magnetica funzionale (fMRI) o l’eye-tracking studia le reazioni cerebrali di potenziali clienti. I dati dimostrano che gli annunci a colori vengono letti il 42% in più rispetto a quelli in bianco e nero. L’84,7% dei consumatori dichiara che il colore è la prima ragione per cui acquistano un determinato prodotto. Esiste poi una parte inconscia, legata alle emozioni e ai ricordi, ed è su questa che il neuromarketing lavora per influenzare il processo decisionale delle persone, catturando e massimizzando la loro attenzione.

Times Square

I ledwall pubblicitari di Times Square, Stati Uniti: un tripudio di immagini a colore

  • Foto di Andreas M su Unsplash

L’effetto dei colori: una zona grigia da esplorare

Insomma, se da una parte è vero che il colore, insieme al linguaggio, è il più grande portatore di significato culturale del nostro mondo, dall’altra i simbolismi associati non devono venir confusi con reali e precisi effetti psicologici sulla nostra mente. A oggi, pratiche come la cromoterapia, non hanno solide basi scientifiche. D’altro canto, la scoperta relativamente recente delle cellule gangliari e della “seconda via” verso le aree del nostro cervello legate anche alla regolazione delle emozioni, ha dato un nuovo impulso alla ricerca sul modo in cui il nostro cervello risponde ai colori, un mondo che di certo riserverà ancora molte sorprese. 

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