Scienza e Tecnologia

Dagli Stati Uniti una terapia universale contro l’influenza

I ricercatori hanno sviluppato un innovativo cocktail di anticorpi che funzionerebbe su più varianti del virus - ma per un suo utilizzo sull’essere umano, c’è ancora da attendere

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influenza virus

Illustrazione artistica del virus dell'influenza nel sangue

  • IMAGO / StockTrek Images
Di: Red. giardino di Albert / Simone Pengue 

Coi mesi freddi, comincia la stagione dell’influenza. La malattia è causata da un virus molto mutevole ed elusivo, che rende difficile mettere a punto vaccini e terapie in grado di contrastarlo in modo sostenuto nel tempo. Dagli Stati Uniti, però, è appena arrivata la notizia di uno studio che promette di cambiare le carte in tavola. Una nuova terapia per combattere l’influenza è stata testata con successo sui topi dal gruppo di ricerca di Silke Paust, professoressa al Jackson Laboratory for Genomic Medicine a Farmington (Stati Uniti), con il supporto del gruppo di Mark Tompkins del Center for Vaccines and Immunology all’Università della Georgia ad Athens (Stati Uniti). La grossa novità è che il trattamento si è dimostrato efficace contro diversi ceppi del virus, aprendo uno spiraglio per lo sviluppo di farmaci sicuri ed efficaci contro l’influenza che funzionino ad ampio spettro anche per molti anni. 

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Anche se per molti si traduce in qualche semplice giorno di malessere, l’influenza è una malattia che può avere conseguenze molto gravi, soprattutto tra i gruppi a rischio come gli anziani sopra i 65 anni. Non è certo una bella statistica alla quale pensare, ma spesso ci si scorda che la pandemia con il più alto numero di decessi non è stata quella recente di Covid-19, ma quella di influenza spagnola del 1918, che ha causato tra i 50 e 100 milioni di decessi in tutto il mondo, contro i poco più di sette milioni derivanti dal Covid-19 secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. «Le pandemie influenzali possono essere molto gravi. Anche se da oltre 80 anni si cerca di sviluppare un vaccino universale contro l’influenza che basti fare una sola volta nella vita e che ci protegga indipendentemente dalla variante di virus che circola ogni anno, c’è ancora molto lavoro da fare prima di riuscirci. Stiamo anche cercando di sviluppare terapie efficaci per davvero: alcune esistono, ma spesso il virus muta e queste perdono efficacia col tempo», dichiara Silke Paust.  

Un cocktail di anticorpi

Nel suo laboratorio, Silke Paust ha sviluppato un cocktail di anticorpi in grado di riconoscere una piccola parte del virus e segnalarlo al sistema immunitario, che riesce così ad attivare le proprie difese e attaccare l’agente patogeno. Questo tipo di anticorpi si dice “non neutralizzante”, ovvero non blocca direttamente l’infezione, ma marca le cellule infette e richiama il sistema immunitario per eliminarle. Una concezione nuova che contrasta con la radicata convinzione secondo cui, per essere utili come terapia contro i virus, gli anticorpi debbano essere “neutralizzanti”, cioè impedire direttamente al virus di infettare le cellule.  

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Per sviluppare degli anticorpi in grado di svolgere questo compito, è necessario prima di tutto individuare quale parte del virus sia il loro bersaglio. Infatti, un virus è composto da molte parti diverse – principalmente materiale genetico e proteine - e gli anticorpi generalmente ne riconoscono solamente una piccola porzione ben specifica. Per far sì che la terapia funzioni anche con diversi ceppi della malattia, è necessario che la proteina bersaglio resti pressoché immutata tra una variante e l’altra. In questo modo gli anticorpi continuano a riconoscere il virus ed essere quindi efficaci.

Nel caso di questa ricerca, la proteina bersaglio sul virus dell’influenza si chiama M2e, una proteina utilizzata dal virus dell’influenza sia per entrare nella cellula, dove si replica e produce nuove particelle virali, che per staccarsene e passare a quella successiva, infettandone di nuove. M2e è quindi una proteina fondamentale per il ciclo vitale del virus.  «il virus non può permettersi di mutare la proteina M2e di molto, altrimenti perderebbe la sua funzione. Un altro vantaggio è che M2e non è nascosta all’interno del virus, ma esposta all’esterno, quindi un anticorpo che circola nel corpo può facilmente raggiungerla», spiega la professoressa.

Dai topi agli umani

La terapia, per ora, è stata testata solamente su topi infettati con il virus dell’influenza e deve ancora essere adattata agli esseri umani. Questa fase, che verrà sviluppata con un’azienda privata, durerà circa un anno. In seguito si potrà procedere alla sperimentazione clinica su esseri umani, ma il successo non è affatto garantito. «Finora le terapie a base di anticorpi non hanno avuto successo negli studi clinici perché risultano specifiche per un determinato ceppo e permettono al virus di mutare e sfuggire così al trattamento», precisa la ricercatrice. La speranza, naturalmente, è che questo nuovo approccio possa essere efficace nei contesti in cui i tentativi passati hanno fallito. 

I passi tra i test in laboratorio sugli animali e la messa in commercio di una terapia sono lunghi e cauti. Nelle aspettative migliori ci vorranno ancora almeno cinque o sei anni prima che questo farmaco contro l’influenza sia disponibile per la popolazione, ma, visti i numerosi ostacoli da superare, sia scientifici che burocratici, potrebbero volercene anche più di dieci. Considerando che la ricerca è cominciata dieci anni fa, occorreranno in totale quindi tra i quindici e i vent’anni di lavoro tra i primi esperimenti e il completo sviluppo del farmaco. 

Nel frattempo, l’arma più efficace resta la vaccinazione stagionale. L’Ufficio Federale della Sanità Pubblica la raccomanda per le persone con più di 65 anni per proteggersi e prevenire il rischio di decorsi gravi, da effettuarsi tra metà ottobre e l’inizio della prima ondata di infezioni.

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