Nel panorama tecnologico contemporaneo, il termine drone (che in inglese significa “fuco”, il maschio dell’ape, nome assegnatogli presumibilmente per il tipico ronzìo emesso durante il volo) si riferisce a varie tipologie di velivoli senza pilota utilizzati in molti ambiti, dalle missioni di salvataggio all’agricoltura di precisione, per citarne alcuni. A seconda del loro utilizzo, gli UAV (unmanned aerial vehicle) possono essere dotati di sensori, telecamere termiche, teleobiettivi o armamenti.
In ambito bellico, i droni hanno fatto il loro debutto nel 2002 in Afghanistan. La prima operazione militare mirata risale al febbraio di quell’anno, quando un Predator senza equipaggio lanciato in missione dagli Stati Uniti venne utilizzato per bersagliare un uomo sospettato di essere Osama Bin Laden. La missione, però, fallì, e tre uomini innocenti persero la vita.

Un MQ-1 Predator, armato di missili AGM-114 Hellfire durante una missione di combattimento nel sud dell’Afghanistan
Nel frattempo, mentre queste prime macchine da guerra volanti sono ormai diventate pezzi da museo, la gamma di ciò che possiamo definire drone si è ampliata notevolmente: “si va da velivoli da sessanta metri di apertura alare fino a piccoli quadricotteri commerciali (droni con quattro rotori, ndr.) adattati per scopi bellici, come avviene in Ucraina”, ci spiega l’esperto di robotica Davide Scaramuzza.
Davide Scaramuzza è alla guida del Robotics and Perception Group dell’Università di Zurigo ed è consulente per le Nazioni Unite sui temi del disarmo e dell’intelligenza artificiale per il bene comune. Il suo gruppo di ricerca è fra i leader mondiali nello sviluppo di droni a guida autonoma, in grado di muoversi cioè senza l’ausilio di GPS o di un essere umano. Nel 2022 il suo team ha dimostrato che un drone basato sull’intelligenza artificiale potrebbe superare i campioni mondiali di corse di droni, una tecnologia che potrebbe tornare utile nelle operazioni di salvataggio e che il giardino di Albert ha raccontato all’epoca in un breve servizio televisivo.
Drone, salvami tu!
RSI Info 04.10.2021, 15:54
Le ragioni del boom
Il mercato dei droni militari è attualmente in piena espansione. A guidare il settore oggi restano gli Stati Uniti, con un vantaggio di circa vent’anni sulla Cina. “Pechino sta vivendo un rapido recupero, anche grazie all’esodo di molti cinesi che dagli Stati Uniti stanno tornando nel loro Paese d’origine”, ci spiega il professore.

Ma l’evoluzione tecnologica e la miniaturizzazione delle componenti hanno portato a una vera e propria democratizzazione dell’accesso a tecnologie prima riservate solo alle grandi potenze militari. “Chiunque oggi può costruire un drone kamikaze per poche centinaia di franchi, utilizzando componenti facilmente reperibili online”, sottolinea Scaramuzza. “Questo ha cambiato radicalmente la natura dei conflitti, permettendo a chiunque di dotarsi di capacità offensive aeree a basso costo.”
14 settembre 2025, Donetsk Oblast, Ucraina: un soldato ucraino prepara un drone per attaccare le posizioni russe
Il ruolo dell’intelligenza artificiale è ancora marginale
L’integrazione di algoritmi di intelligenza artificiale e apprendimento automatico nei droni militari sta migliorando le capacità di volo autonomo, il riconoscimento dei bersagli e la pianificazione delle missioni. Eppure, “attualmente l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei droni utilizzati sul campo di battaglia è estremamente limitato”, ci spiega Davide Scaramuzza. Fanno eccezione alcuni prodotti statunitensi, come il drone ‘kamikaze’ Switchblade dall’azienda AeroVironment, che consente il riconoscimento dell’obiettivo basandosi su una semplice rete neurale, parte dei primi pacchetti d’aiuto da parte degli Stati Uniti all’Ucraina. Anche se in questo momento “sia le truppe russe sia quelle ucraine si affidano agli operatori umani in tutto e per tutto: i soldati guidano manualmente i droni fino al bersaglio aiutati dal segnale di sottilissimi fili in fibra ottica che consentono di raggiungere distanze fino a 26 km, di gran lunga superiori a quelle di un segnale GPS”. Con il vantaggio di sfuggire alle interferenze elettromagnetiche degli avversari.
Un drone ucraino collegato a un cavo in fibra ottica
L’idea di una tecnologia bellica in mano all’intelligenza artificiale responsabile di definire autonomamente quale obiettivo colpire è allora un grande bluff? “La tecnologia esiste già, ma non è ancora sufficientemente affidabile per potersi muovere senza l’intervento di un essere umano”, precisa Scaramuzza. Presto o tardi, però, arriverà, e allora occorrerà farsi trovare preparati, prima che sia un robot killer a decidere chi sta dalla parte dei buoni e chi dei cattivi: “Oggi manca una legislazione mondiale o svizzera che vieti l’utilizzo di un’intelligenza artificiale nel prendere una decisione di questo tipo. Serve una convenzione internazionale, come quella sulle armi chimiche o nucleari per porre una linea di demarcazione che stabilisca cosa può decidere l’AI e cosa l’essere umano”. Davide Scaramuzza è fra gli otto scienziati svizzeri che nel novembre del 2021 hanno lanciato un appello urgente al governo federale elvetico, esortando il ministro degli Esteri Ignazio Cassis ad agire affinché agli algoritmi non venga mai consentito di prendere decisioni sulla vita o la morte di un essere umano.
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La Svizzera, “Silicon Valley” della ricerca sui droni
La Svizzera si posiziona da tempo come polo d’eccellenza nello sviluppo di tecnologie AI legate ai droni in ambito civile. Un’industria dal peso di 569 milioni di franchi svizzeri nel 2024 che secondo l’ultimo rapporto dell’Associazione svizzera dell’industria dei droni riconferma il nostro Paese al primo posto al mondo per mercato pro capite. Uno sviluppo che attira sempre di più l’interesse del settore militare, e questo nonostante la tradizionale neutralità svizzera, di cui però la ricerca di base può sentirsi solo in parte responsabile, afferma Davide Scaramuzza: “l’applicazione la decide la società, non le università. Le faccio un esempio concreto: gli stessi algoritmi che molti di questi droni utilizzano per riconoscere gli obiettivi sono stati usati per gli screening del cancro al seno che hanno salvato milioni di persone. Si tratta di algoritmi open source, cioè accessibili a chiunque attraverso internet”, afferma Scaramuzza. “Quello che il ricercatore responsabile può fare è scegliere o meno di mettere il codice sorgente online. Noi alcuni algoritmi non li rilasciamo. Riteniamo che il mondo non sia pronto per certe informazioni”, aggiunge.
Non mancano però gli esempi di applicazioni di tecnologie militari legate indirettamente alla ricerca accademica elvetica. Oggi l’azienda Auterion, spin-off del Politecnico federale di Zurigo che nel frattempo ha trasferito la sua sede centrale in Virgina, Stati Uniti, fornisce tecnologia per droni kamikaze da combattimento in Ucraina.
In futuro una guerra tra droni?
Guardando al futuro, l’esperto prevede scenari in cui sciami di droni autonomi potrebbero scontrarsi nei cieli. “Ci sono già molte aziende che stanno sviluppando o acquistando sistemi anti-drone, incluso il governo svizzero che ha annunciato piani per modernizzare le proprie difese”, rivela. “Si va da droni che lanciano reti per catturare altri droni, fino a sistemi laser per abbatterli.”
https://rsi.cue.rsi.ch/info/svizzera/Droni-israeliani-cronologia-di-un-acquisto-tormentato--3087296.html
Tuttavia, ci sono ancora limiti tecnologici da superare. “Il principale ostacolo all’impiego su larga scala di sciami di mini-droni è l’autonomia delle batterie”, spiega Scaramuzza. “Attualmente, i droni più piccoli hanno un’autonomia di volo di soli 5-10 minuti. Ma i progressi nella ricerca sulle batterie per auto elettriche potrebbero presto portare a droni capaci di volare per ore.”

Risposta NATO ai droni russi, l'analisi di Mauro Gilli
Telegiornale 13.09.2025, 20:00