L’inverno astronomico comincia il 21 dicembre, a scuola lo abbiamo imparato tutti. All’incirca in questo giorno le ore di sole sono le più basse in assoluto. Oggi, a Lugano, l’alba è ufficialmente alle 08:03 e il tramonto alle 16:42, con una durata totale del giorno di 8 ore e 39 minuti. Eppure, le poche ore di Sole, fonte primaria di riscaldamento della superficie terrestre, non coincidono con il momento più freddo dell’anno, come l’intuizione suggerirebbe.
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Statisticamente, i giorni più freddi arrivano tra gennaio e febbraio, non lontano dai giorni della merla, ma leggermente spostati a cavallo dei due mesi. «Chiaramente bisogna considerare che questo è un valore climatologico, quindi mediato. Questa informazione deriva da un’analisi su almeno un trentennio», spiega Luca Nisi, meteorologo presso MeteoSvizzera. L’analisi climatologica non esclude che, in via eccezionale, un anno possa presentare un’ondata di caldo fuori stagione tra gennaio e febbraio. «Se prendiamo per esempio gli ultimi inverni recenti, pensando anche agli anni molto secchi del 2022 e 2023, abbiamo avuto vere e proprie ondate di caldo fuori stagione, e il freddo è arrivato solo più tardi, con anche una debole nevicata in pianura nel mese di marzo».
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Il calore specifico delle superfici
Il motivo per il quale il picco di freddo si trova a fine gennaio e non al 21 dicembre, il momento di massimo buio, è legato ai meccanismi fisici che regolano l’aumento delle temperature. Il Sole non scalda direttamente l’aria, ma trasferisce calore alla superficie, quindi al suolo, alle rocce, o ai bacini idrici, che a loro volta rilasciano lentamente calore nell’atmosfera. La materia, però, deve assorbire o cedere una certa quantità di calore, cioè di energia, prima di variare la propria temperatura in modo percepibile. La quantità di calore necessaria a modificare la temperatura di un materiale si chiama calore specifico ed è una caratteristica propria di ciascuna sostanza. «Non è che arriva il Sole e improvvisamente il terreno si scalda. C’è una latenza dovuta proprio al calore specifico: più è elevato, più il riscaldamento è lento. Se pensiamo all’acqua, per esempio, ha un calore specifico molto alto e quindi si scalda molto più lentamente rispetto al suolo. La roccia, invece, ha un calore specifico quasi quattro volte inferiore a quello dell’acqua, quindi si riscalda e si raffredda molto più velocemente.», spiega Nisi.
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La differenza tra il calore specifico dell’acqua e quello della roccia è alla base anche delle differenze di temperatura tra le zone prossime ai grandi laghi e il resto del territorio. In inverno le aree lacustri sono leggermente più calde, con nevicate a quote più elevate, mentre in estate restano un po’ più fresche. «Prendiamo il 2025: il valore massimo è stato di 36,4 gradi registrati a Biasca, mentre difficilmente si raggiungono i 36 o 37 gradi a Lugano e Locarno, o nelle zone in prossimità delle rive del lago Maggiore o del Ceresio».
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Con la loro grande massa, gli elementi del territorio hanno un’elevata capacità termica, cioè riescono a immagazzinare molta energia e a rilasciarla gradualmente nell’ambiente. «D’inverno, al 21 dicembre, arriviamo dalla stagione calda, quindi sia le distese d’acqua sia la terraferma hanno calore assorbito e immagazzinato durante i sei mesi precedenti. Al contrario, d’estate, quando arriviamo al 21 giugno, il terreno e le acque sono ancora freddi e influenzano la temperatura degli strati più bassi dell’atmosfera. Questo fa sì che ci sia circa un mese di ritardo sia sul massimo delle temperature estive sia sul minimo di quelle invernali», continua Nisi.
Il giardino di Albert RePlay - Meteo
RSI Info 19.06.2022, 18:05
C’è inoltre un altro effetto importante che spinge il picco del freddo verso la fine di gennaio. La parte centrale dell’inverno meteorologico, che inizia il primo dicembre, è spesso caratterizzata da condizioni anticicloniche, quindi dall’assenza di nubi. Il terreno rilascia il proprio calore sotto forma di radiazione infrarossa, e il vapore acqueo, cioè le nubi, è un gas serra. In presenza di nuvole, parte di questo calore viene quindi riassorbita e trattenuta nell’atmosfera, contribuendo a scaldarla. Il cielo terso tipico del cuore dell’inverno, invece, non consente questo processo e una quantità maggiore di calore viene dispersa verso gli strati alti dell’atmosfera e nello spazio. Così, sebbene le giornate inizino lentamente ad allungarsi, la perdita di calore notturna continua a essere predominante. «Sono un po’ entrambe le cose: da un lato l’aspetto fisico dell’inerzia termica, dall’altro il fatto che continuiamo a perdere calore. Il bilancio tra il calore che arriva dal sole e quello disperso resta quindi negativo per diverse settimane dopo il 21 dicembre, il solstizio invernale», riassume Nisi.






