Scienza e Tecnologia

Rifiuti spaziali: verso un punto di non ritorno? 

Una collisione causata dai detriti esistenti moltiplicherebbe i pezzi alla deriva in modo esponenziale rendendo l’orbita terrestre inutilizzabile, con conseguenze per tutti noi 

  • 2 ore fa
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Rifiuti spaziali

Falò 09.12.2025, 21:10

Di: red. giardino di Albert/Matteo Martelli  

Razzi, sonde, satelliti, telescopi orbitanti, piccole navicelle o enormi stazioni spaziali: in sessant’anni, dal lancio il 4 ottobre 1957 del primo satellite artificiale Sputnik, la civiltà umana ha lanciato nello spazio migliaia di oggetti, e molti di questi ruotano ancora attorno all’orbita del nostro pianeta.

Secondo i dati più recenti diffusi dall’Agenzia Spaziale Europea, i satelliti attualmente attorno alla Terra sono quasi 16’000, di cui 12’500 ancora funzionanti. 8’600 di questi appartengono alla compagnia SpaceX di Elon Musk, che con il progetto Starlink di fatto oggi controlla i due terzi della totalità dei satelliti attivi nell’orbita terrestre. E i numeri sono destinati a crescere esponenzialmente nei prossimi anni.

Se da una parte questo ha consentito e consentirà enormi progressi tecnologici (pensiamo all’ambito delle telecomunicazioni o delle previsioni metereologiche), dall’altra queste cifre sollevano una questione più che mai attuale: come proteggere i satelliti attorno al pianeta Terra dal rischio di impatto con detriti spaziali, o, peggio, da collisioni reciproche?

Detriti spaziali: cosa sono

Quando parliamo di detriti spaziali non ci riferiamo solo a vecchi satelliti abbandonati in orbita (attualmente, quasi 3’000), ma anche alle migliaia di piccolissimi residui staccatisi da essi o risultato di collisioni spaziali, come frammenti di metallo, bulloni o scaglie di vernice.

Si stima che siano 1,2 milioni i rifiuti spaziali più grandi di 1 cm attualmente in orbita attorno alla Terra, mentre quelli più grandi di 10 cm sarebbero 54’000: un pericolo costante per i satelliti attivi e le missioni spaziali. La diffusione di rifiuti nello spazio rimane comunque relativamente bassa. A 1’000 km di altitudine, dove se ne trovano di più, la densità è di 0,0001 oggetti per km³. Scene catastrofiche come la pioggia di detriti mostrata in Gravity, film del 2013 del regista Alfonso Cuarón, rimangono per gli esperti poco realistiche.

 

La problematica viene comunque osservata con attenzione dalla comunità scientifica internazionale, Svizzera inclusa. “Una collisione con il nostro satellite sarebbe una catastrofe”, avverte Nicolas Billot, responsabile del Centro operazioni scientifiche di CHEOPS, satellite elvetico lanciato in orbita cinque anni fa dall’Università di Ginevra per studiare gli esopianeti.

Nonostante le esigue dimensioni, i detriti spaziali si muovono a velocità che possono raggiungere i 40’000 km/h, sono cioè oltre dieci volte più rapidi di un proiettile. “Basterebbe un semplice bullone per decretare la fine della nostra missione: se questo colpisse il serbatoio, provocherebbe un’enorme esplosione”, spiega il ricercatore.

Un simile evento genererebbe altre migliaia di pericolosi detriti, in un effetto a cascata che un giorno potrebbe persino compromettere l’esplorazione spaziale o l’utilizzo di satelliti. Per scongiurare questo scenario, descritto come “sindrome di Kessler”, esperti e startup sono al lavoro per garantire la sicurezza delle missioni future e la sostenibilità dello spazio.

Una sfida complessa

Oggi i detriti spaziali sono costantemente monitorati. Centri nazionali di studi spaziali come quello di Tolosa, in Francia, monitorano costantemente il traffico spaziale e coordinano manovre di deviazione di satelliti internazionali. “I rischi di collisione sono continui”, spiega Morgane Jouisse, responsabile della gestione del traffico, precisando che “sono 500 i satelliti a cui offriamo un servizio di anticollisione”.

“Attualmente siamo in grado di garantire zero detriti per i nostri satelliti”, afferma Laurent Francillout, vicedirettore per la sicurezza del CNES. “È una semplice questione di volontà, ma dietro la volontà c’è un costo e affinché questo costo sia sostenuto da qualcuno è necessaria una regolamentazione”.

Alle Nazioni Unite, il Comitato per l’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (COPUOS) nel 2019 ha pubblicato 21 linee guida per garantire la sicurezza nello spazio volte a stabilizzare la presenza di detriti. Tuttavia, alcuni Stati desiderano mantenere la loro libertà nello spazio per motivi militari e commerciali. Per gli esperti del settore, “sono necessari ulteriori lavori”.

Nel 2016, la cupola di osservazione nella Stazione Spaziale Internazionale è stata colpita da un detrito spaziale. È bastato un minuscolo frammento non più grande di qualche millesimo di millimetro per creare nel vetro una scheggia circolare di 7 mm di diametro

Nel 2016, la cupola di osservazione nella Stazione Spaziale Internazionale è stata colpita da un detrito spaziale. È bastato un minuscolo frammento non più grande di qualche millesimo di millimetro per creare nel vetro una scheggia circolare di 7 mm di diametro

  • ESA

Soluzioni innovative

Oltre a evitare le collisioni attraverso le deviazioni dei satellite, oggi si cercano soluzioni alternative. Ad esempio, i satelliti vengono equipaggiati affinché, terminata la loro missione (solitamente della durata di 5-10 anni), possano abbandonare l’orbita nell’ottica di uno spazio sostenibile. Un tema, quello della dismissione dei satelliti, che è stato per molto tempo ignorato.

Altri progetti, come quello della startup svizzera ClearSpace, nata al Politecnico di Losanna, intendono combattere il problema alla radice, rimuovendo dallo spazio i detriti più grandi e i satelliti dismessi. Nel 2028, la loro prima missione proverà a recuperare PROBA-1, satellite prodotto vent’anni fa e attualmente ancora nell’orbita terrestre. “È un oggetto non predisposto al recupero. È come cercare di prendere un’auto che sta sbandando in autostrada”, spiega Luca Piguet, direttore di ClearSpace.

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Netturbini spaziali

RSI Info 27.10.2022, 19:50

Insomma, la scienza sta facendo il possibile per evitare la cosiddetta sindrome di Kessler, anche perché oggi vivere senza infrastrutture spaziali sarebbe impossibile: “Dipendiamo dai GPS per sincronizzare i server, dai satelliti per i nostri sistemi bancari, tutte le catene di distribuzione dipendono dalle tecnologie satellitari. Gli allarmi per gli tsunami e i terremoti usano i satelliti”. Si tratterebbe di un salto tecnologico nel passato di oltre 50 anni.  

“Se vogliamo che i nostri figli e nipoti possano esplorare lo spazio, è nostra responsabilità eliminare ciò che abbiamo messo in orbita, specialmente quegli oggetti che vi restano per lungo tempo”, conclude Piguet. “Saranno proprio questi i problemi che i nostri figli dovranno gestire”. Un impegno per il futuro, affinché lo spazio continui a essere una frontiera di scoperta e progresso per l’umanità.

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