Il 50,4% dei voti, appena 21’000 schede di differenza, decisivo il risultato di Zurigo che in extremis ha sovvertito l’esito della votazione: l’identità elettronica ha convinto solo una risicata maggioranza degli svizzeri. Questo nonostante il progetto, rispetto a una prima variante bocciata negli anni scorsi, avesse corretto quello che era stato un punto debole. Stavolta è interamente pubblico, senza coinvolgimento dei privati.
Come leggere questo risultato? Il Radiogiornale della RSI lo ha chiesto al politologo dell’Università di Losanna Oscar Mazzoleni.
Si tratta di scetticismo, se non paura, verso la digitalizzazione che riguarda dati sensibili del cittadino o è un segnale più generale di sfiducia nelle istituzioni? Ricordiamo che fra i contrari c’erano i cosiddetti corona-scettici...
“Non sono molto stupito del risultato tirato, devo dire la verità. Non solo perché all’ultima votazione sul tema il 64% dei votanti si era opposto all’identità elettronica. In generale penso che su tematiche relative alla rivoluzione digitale in corso le istituzioni politiche faticano a essere credibili. Oggi la tecnologia digitale, e lo vediamo tutti i giorni, anche per la sua velocità dello sviluppo stesso di questa tecnologia, appare per molti versi come qualcosa che sfugge di mano e che sfugge di mano anche alle istituzioni pubbliche. Pensiamo agli hacker e ai tanti usi illegali o comunque che ledono la sfera privata, e di cui si parla pressoché ogni giorno nei media. E questo a prescindere da quanto partiti e governo possano dire. E che suscitano timori diffusi. Per i governi e i partiti politici è stato perciò difficile convincere una maggioranza qualificata a dare loro fiducia in questo mondo in così rapida evoluzione dal punto di vista digitale”.
https://www.rsi.ch/info/dossier/votazioni/Identit%C3%A0-elettronica--3048872.html
Ecco, c’è uno scollamento, possiamo dire allora, tra elettorato e istituzioni, che non sembrano in grado di garantire e di creare un rapporto di fiducia? Istituzioni che appaiono spesso vulnerabili di fronte ad attacchi hacker, per esempio...
“Sì, penso che il tema sia quello di anzitutto individuare le tante ragioni che presiedono i timori, la sfiducia nei confronti delle identità elettronica e delle istituzioni che se ne vogliono fare carico. Almeno per una parte della popolazione. Una soluzione non è facile da trovare. Sicuramente le garanzie sulla protezione della sfera privata possono contribuire. Ricordiamo la rivoluzione portata dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, in gran parte in mano alle Big Tech americane, che si intreccia col tema della identità elettronica. Alle istituzioni pubbliche incombe una seria riflessione sui temi della sovranità, della capacità regolatore, dentro questa rivoluzione e per il rispetto della sfera privata. E non è solo una questione di scollamento in un voto per un referendum. È più in generale la capacità degli Stati di governare e di far fronte a questa evoluzione che sembra sfuggirci di mano”.
Come recuperare allora la fiducia dei cittadini?
“Ripeto, è una questione legata alla capacità di esercitare una sovranità e soprattutto una capacità regolatoria. Solo la questione della protezione della sfera privata forse non sarà sufficiente, anche perché le tecnologie vanno rapidamente. Quello che si riesce a fare oggi, magari non si riesce a fare domani o viceversa. Dobbiamo sapere che abbiamo votato su un tema in rapidissima evoluzione. Quando si vota su un altro tema, pensiamo ad altri temi che su cui abbiamo votato questo fine settimana, è più facile dire che c’è un prima o c’è un dopo. Sui temi che hanno a che fare con l’azione digitale c’è un’evoluzione continua. Quello che si è votato oggi dal punto di vista tecnologico sarà diverso domani. Tutto questo significa una grande sfida per le istituzioni pubbliche per riuscire a mantenere o sviluppare un rapporto fiduciario con i cittadini di fronte a questi cambiamenti”.