Sono passati 80 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale. I testimoni diretti delle tragedie che ha causato sono sempre di meno. Per questo Dacia Maraini ha sentito il bisogno di raccontare la sua esperienza. Quella che dal ’43 al ’45 l’ha vista internata con la sua famiglia in un campo di prigionia per italiani in Giappone. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, i suoi genitori si erano infatti rifiutati di giurare fedeltà alla Repubblica di Salò.
La fame che ha sofferto è il suo ricordo più vivido di quegli anni. Ed è stata quella l’esperienza che ha definito tutta la sua vita. Soprattutto il suo impegno sociale, derivato dalla conoscenza della sofferenza, della paura e della violenza.
La scelta di raccontare ora i due anni di prigionia scaturisce dalla consapevolezza che oggi il mondo è di nuovo preda di regimi, guerre e possibili totalitarismi. Questo ha spinto la scrittrice 88enne a imporsi di terminare di scrivere un resoconto cominciato tante volte, ma mai finito per la troppa sofferenza.
Perché il compito della cultura, aggiunge Dacia Maraini, è quello di raccontare la verità per creare coscienza. Al di là degli schieramenti e delle bandiere di appartenenza. Raccontare per conoscere, per capire, ed evitare di ripetere gli errori della storia.
Il volume, come tanti altri dell’autrice italiana, è stato tradotto in molte lingue: l’edizione tedesca è appena stata pubblicata e presentata al Literaturhaus di Zurigo, dove l’abbiamo incontrata (l’intervista integrale in cima all’articolo, ndr.).


Dacia Maraini a Zurigo
Telegiornale 14.05.2025, 20:00