Il 39% imposto da Donald Trump sulle merci svizzere pesa come un macigno sulle esportazioni elvetiche.
Fabio Regazzi, consigliere agli Stati per il Centro e presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri, ha sottolineato ai microfoni di Modem che “circa il 40% delle piccole e medie imprese è votata all’esportazione” e che il nuovo regime doganale “rappresenta un onere che rischia di mettere in difficoltà le nostre aziende”. Paolo Pamini, consigliere nazionale dell’UDC, aggiunge che per i consumatori statunitensi i prodotti svizzeri hanno subito rincari vicini al 50%, tra dazi e svalutazione del dollaro. Per Cédric Wermuth, consigliere nazionale e co-presidente del PS, la situazione è “acuta in alcuni settori”, ma non ancora drammatica per l’economia nel suo complesso.
Alleanza con Bruxelles o via solitaria?
Per il co-presidente socialista, il vero problema è politico: “Finora la strategia del Consiglio federale è un fallimento. La Svizzera da sola è troppo piccola per difendersi: serviva un’alleanza strategica con l’Europa”. Wermuth invoca un fronte comune con Bruxelles, Canada e Asia orientale, nonché strumenti multilaterali: “Ci sono strumenti come quelli dell’ONU, quelli dell’OMC. Il Consiglio federale sta ancora cercando di cavarsela da solo: non ha capito che i tempi sono cambiati”.
Regazzi e Pamini rivendicano invece la via autonoma della Confederazione. “Gli interessi dell’Europa sono difficilmente conciliabili con quelli della Svizzera”, sostiene Regazzi. “È chiaro che sono stati commessi degli errori”, concede il centrista, “però tutto sommato ritengo che trovare un asse preferenziale con l’Europa non avrebbe migliorato particolarmente la nostra situazione”. Inoltre, ricorda il presidente dell’USAM, accordi di libero scambio come quelli con Cina o Indonesia aprono già mercati alternativi.
Pamini insiste sull’autonomia: “La Svizzera ha legami economici molto profondi con gli Stati Uniti, e anche il Ticino”. Cita la presenza americana nella Confederazione e nel cantone, dal settore della moda all’industria, e conclude: “Il legame economico con gli USA è forte. L’Europa non è nostra amica, ci mette sotto pressione con l’imposta minima OCSE: dobbiamo muoverci con prudenza alla luce di questa presenza statunitense sul nostro territorio”.
Contromisure a confronto
Sul fronte delle contromisure, Wermuth propone di mostrare fermezza – fino ad annullare l’acquisto degli F-35 – ed esclude concessioni in materia di farmaci o armamenti. “È anche sbagliato rinviare le leggi per controllare i giganti della digitalizzazione nella speranza di farci ben volere dagli Stati Uniti: dobbiamo far capire che possiamo anche rispondere”.
Per Regazzi, invece, “abbiamo diverse leve sulle quali possiamo impostare una controfferta e un rilancio dell’offerta nei confronti degli Stati Uniti”; l’invito ora è quello di “lasciar lavorare i nostri negoziatori”.
Anche sulle misure interne la divisione è netta. Per Wermuth, il lavoro ridotto è “una misura giusta” a breve termine: “dà respiro alle aziende e garantisce i posti di lavoro”. “Serviranno poi altre misure”, ma i programmi di deregolamentazione voluti dalle associazioni economiche “non sono una risposta praticabile”, sottolinea il co-presidente del PS.
Una risposta auspicata invece da Regazzi: “In Svizzera abbiamo forse a livello mondiale gli oneri sul costo del lavoro più importanti” ed è quindi necessario “adottare misure incisive per sgravare le aziende da questi oneri sia amministrativi che fiscali”.